giovedì 30 settembre 2010

Blog Awards. Il trionfo di Spinoza. Fb miglior community


Nel corso della BlogFest di Riva del Garda, questo fine settimana, sono stati assegnati i Macchianera Blog Awards 2010, i riconoscimenti conferiti dagli utenti del web ai migliori blog e servizi internet correlati. Quello che gli organizzatori definiscono come un "evento che riunisce, ogni anno, tutto ciò che in Italia gravita attorno alle community della rete, che abbiano origine dai blog, da Facebook, da Twitter, dalle chat e dai forum e da qualsiasi altra forma sociale di comunicazione", tenutosi in una cittadina completamente coperta dal wi-fi, in modo da agevolare la possibilità dei partecipanti di restare sempre online, è in realtà una tre giorni di incontri, avvenimenti, conferenze, etc. che non si esaurisce certo nella consegna dei premi, ma che tuttavia ha in questo momento un elemento di indubbio interesse. Ventotto le categorie considerate; cinque (talvolta dieci) le nomination selezionate per ognuna di esse, in una precedente sessione di web-voto. "Miglior Blog" dell'anno è Spinoza, vincitore anche nella categoria "Miglior Blog collettivo" e "Miglior post" (con "Celere alla celere"). Alessandro Gilioli è il "Blogger dell'anno", mentre Metilparaben viene premiato come "Blog rivelazione". Facebook si aggiudica il titolo per la "Migliore community", mentre la piattaforma Wordpress prevale nella categoria ibrida "Miglior Social Network o Servizio per i Blog". Leonardo è il "Miglior Blog d'opinione", Freddie Nietszche il "Miglior Blog personale". Come "Miglior blog politico" si registra la netta vittoria di Nichi Vendola (che stacca Di Pietro e Civati). Il Post è il "Miglior Blog giornalistico", Il Fatto Quotidiano la "Miglior Testata Giornalistica online". Repubblica.it è il "Miglior servizio mobile", mentre il Passaparola di Travaglio viene votato come "Miglior Podcast/Trasmissione radio". Il "Cattivo più temibile della blogosfera"? Uomo morde cane. A Luttazzi, infine, tocca il premio beffa di "Miglior Blog andato a puttane". Su liquida.it la (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 23 settembre 2010

Scuola di Adro, la Rete dice no ai simboli di partito


La buona notizia è che, seppur a fatica, una volta tanto la ragionevolezza sembra prevalere, in Italia, stante la recente presa di posizione da parte del ministro Gelmini, che si è tradotta in un invito formale a rimuovere i simboli leghisti dalla scuola di Adro. Comune di Adro, nel bresciano. Lo stesso che già si era segnalato, in passato, per una serie di iniziative, della giunta leghista, palesemente discriminatorie nei confronti dei residenti extracomunitari: taglie sui clandestini, come nel Far West hollywoodiano; prestazioni sociali "riservate" illegittimamente ai soli cittadini comunitari; l'emarginazione dalla mensa scolastica dei bambini colpevoli di avere genitori (per lo più stranieri) non in grado di pagare la retta con regolarità.
Ed è proprio la sfacciataggine con cui si arriva ormai a coinvolgere anche l'infanzia in questo tipo di operazioni propagandistiche che deve farci comunque apprezzare la correzione di rotta del ministro. In un primo momento, infatti, la Gelmini non ha resistito alla tentazione tutta italiana di non limitarsi a considerare il fatto in sé, ma di provare sempre a caratterizzarlo polemicamente, controbilanciandolo con un'iperbole politicista di segno opposto (togliamo i simboli leghisti, ma anche quelli della sinistra), creata a uso e consumo di una sorta di campagna elettorale permanente. Tuttavia – probabilmente in risposta al crescente disappunto popolare (la campagna web "Cancelliamo con le firme i simboli padani", proposta da "Il Fatto Quotidiano", ha avuto immediato successo) manifestato nel Paese – ora l'invito alla rimozione dei simboli di partito dalla scuola è stato ribadito con maggiore nettezza e, tutto sommato, va bene così.
D'altra parte, davvero risibili erano le giustificazioni addotte dal sindaco per mistificare la vera natura di questa operazione politica (il Sole delle Alpi "non è un simbolo leghista"). Come molti hanno sottolineato in Rete, anche la svastica rappresentava il sole prima di (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 16 settembre 2010

Fischi e contestazioni politiche: il dibattito in Rete


Sarà la persistenza della crisi economica, sarà l'ipotesi di un possibile ricorso a elezioni anticipate, fatto sta che le ultime settimane hanno registrato frequenti episodi di contestazione politica, di cui la Rete si è occupata con discreto interesse. C'è da dire innanzitutto che i protagonisti non hanno molto in comune: Dell'Utri, Schifani e Bonanni, infatti, sono tre figure non marginali del panorama politico italiano, ma con storie piuttosto diverse. Al vecchio amico del premier i contestatori non perdonano la condanna (salvo Cassazione) per concorso esterno in associazione mafiosa e, contestualmente, l'operazione di rivalutazione postuma del fascismo che costui ha messo in atto, pubblicando dei diari del duce, valutati da più esperti come un falso storico. Per il sindacalista Bonanni l'accusa è chiaramente quella di non fare gli interessi dei lavoratori. Ma per il presidente del Senato già diventa più sfumata – vecchi rapporti professionali coi mafiosi? – la ragione di un dissenso così veemente. Al punto che non è escluso che quei fischi vadano anche al PD dialogante, in un momento in cui molti suoi elettori si aspetterebbero invece una netta spallata al governo traballante.
Sia come sia, il dibattito nel web si è incentrato in particolare su forme e limiti di queste manifestazioni di dissenso. In sostanza, ci si è interrogati su come far convivere libertà di parola ed esercizio del dissenso. Nell'impossibilità di riportare tutte le opinioni, una sintesi non dogmatica ci sembra quella di Gaetano Alessi del blog "Ad Est on line" che soprattutto si chiede quali siano "i limiti di sopportazione di un popolo nei confronti dell'arroganza del potere" e dove tracciare "la linea di demarcazione tra giusto esercizio di dialettica e sopraffazione". Anche perché di fronte a un corto circuito politico-informativo che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 9 settembre 2010

Visita di Gheddafi, la denuncia di Torsello


Fatica a spegnersi l'eco indignata che in Rete si è registrata in occasione della recente visita italiana del caro "amico" Gheddafi. Tra le migliaia di pagine web postate sull'argomento, molto scalpore e ampia condivisione hanno suscitato le parole di Emilio Fabio Torsello, uscite su dirittodicritica.com.
In una "lettera aperta ai colleghi giornalisti", Torsello denuncia, senza giri di parole, la scelta dei principali organi di informazione nazionale di dare quasi un taglio da show alla descrizione dell'evento. Solo che non c'è nulla di spettacolare in questa vicenda. Perché "Gheddafi è un dittatore. Non un comico. Non un attore. Non un saltimbanco. " un dittatore". Dato che "nel nostro mestiere la scelta delle parole è fondamentale" - le parole "come un tarlo scavano la mente delle persone e la percezione che queste hanno della realtà" - è mai possibile, si chiede Torsello, ridurre Gheddafi a una sorta di personaggio da operetta? E tutto questo "dopo Lockerbie, dopo i silenzi su Ustica, dopo i missili contro Lampedusa, dopo il vergognoso trattato di 'amicizia' con l'Italia e la sistematica violazione dei diritti umani ai danni dei migranti in Libia".
Su quest'ultimo aspetto, poi, nei blog e nei social network, l'esosa pretesa avanzata dal despota libico di farsi pagare "almeno 5 miliardi di euro l'anno", per controllare le migrazioni di massa dall'Africa all'Europa, è stata stigmatizzata sottolineando il modo in cui la Libia attua questo cosiddetto controllo. E in diversi hanno, infatti, rilanciato il filmato choc "Morire nel deserto" curato da Fabrizio Gatti per L'Espresso, perché nulla è più efficace di quelle immagini di morte per far comprendere il dramma esistenziale dei popoli migranti. In proposito, infine, è dall'agenzia di stampa della Cei che arriva il monito più netto, laddove (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 2 settembre 2010

Facebook fan page, Vendola supera Berlusconi


La notizia è di qualche giorno fa e il distacco non è enorme, ma, su Facebook, Vendola ha superato Berlusconi per numero di fan, dando così ancora più concretezza a quell'immagine di politico "più amato nella Rete", con cui si presenta pubblicamente, già da qualche tempo. Certo è bene precisare subito che non c'è alcuna pretesa di scientificità in un dato che, invece, va inteso più come utile riferimento per saggiare gli umori del web. 
La classifica completa è disponibile sul blog di Daniele Baroncelli, al link "Politici su Facebook". Il primo dato che balza agli occhi è l'assenza dalla top ten – praticamente, dai 50mila fan in su – di alcuni dei principali leader. Non solo manca Bossi, che sembra snobbare il mezzo (non risulta presente in classifica – forse per assecondare il mito del radicamento sul territorio del partito del Nord, chissà), ma anche l'autoproclamatosi ago della bilancia Casini e persino il segretario del PD restano fuori dalle prime posizioni. Bersani è quindicesimo. Casini addirittura solo ventiquattresimo. Fini è settimo, ma in crescita (il che rende lecito desumere che l'espulsione dal PdL non lo abbia penalizzato). 
I primi del PD sono De Luca (ottavo) e la Serracchiani (undicesima). Il PdL piazza nei primi dieci anche Brunetta (sesto) e la Gelmini (decima). L'IdV ha Di Pietro e De Magistris, rispettivamente terzo e quarto (circa centotrentamila sostenitori per il fondatore; novantacinquemila per l'eurodeputato). 
I due top leader, Vendola e Berlusconi, al momento del sorpasso, si attestano attorno ai 230mila fan. Ma l'elemento che gioca decisamente a favore di Vendola è l'analisi dei trend. Berlusconi è in costante decrescita da maggio, mentre Vendola (sopra i 240mila, ora), nello stesso periodo, cresce al ritmo di un nuovo fan al minuto. 

Giuseppe D'Elia

giovedì 5 agosto 2010

Rischio contaminazione da OGM in Friuli: l'intervento di Greenpeace


In uno scontro che ha ridotto la legalità quasi ad inutile orpello, l'unica certezza è questa: bisognava agire subito, se si voleva preservare l'agricoltura friulana. Pertanto, nei giorni scorsi, gli attivisti di Greenpeace sono intervenuti in provincia di Pordenone ed "hanno tagliato, isolato e messo in sicurezza le parti superiori delle piante di mais transgenico che producono il polline, responsabile della contaminazione (...), facendo quello che le autorità hanno rimandato per settimane". A nulla infatti sono valse le precedenti denunce e l'appello online al Presidente della Repubblica, con circa 20mila firme a sostegno di una richiesta di intervento urgente per ripristinare la legalità violata. Del resto, c'è poco da equivocare in una normativa che "prevede che la semina di piante geneticamente modificate sia soggetta a specifica autorizzazione", in modo da "garantire i prodotti tradizionali dalla contaminazione con quelli transgenici" ed "evitare un danno all'ambiente". La semina in violazione del d.lgs. n. 212 del 2001, tra l'altro, è severamente punita (fino a tre anni di carcere), ma "nonostante la presenza di una norma tanto chiara, lo scorso 25 aprile un agricoltore ha dichiarato di aver proceduto (e forse non è il solo) alla semina, assolutamente illegale, di mais geneticamente modificato".
I pro Ogm, sul sito movimentolibertario.it, descrivono il tutto come un'iniziativa a difesa della libertà individuale di ogni agricoltore di scegliere cosa coltivare nella propria terra ed ora etichettano come "nazi-comunisti" gli attivisti di Greenpeace, a causa del loro intervento. Considerando però che le produzioni agricole italiane hanno sempre puntato sulla qualità e che in Europa i prodotti Ogm-free sono largamente preferiti dai consumatori, non è difficile prevedere che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 29 luglio 2010

Obbligo di rettifica, blogger a rischio


Sembrerà una nemesi paradossale, ma dopo che la rete si è mobilitata in massa per impedire che la cosiddetta legge bavaglio condizionasse la libertà di stampa, ora che le norme più controverse del famigerato ddl sulle intercettazioni vengono finalmente corrette, gli unici a restare imbavagliati sono proprio i blogger; quasi presi in giro dalla persistente riproposizione di quell'irragionevole estensione dell'obbligo di rettifica, previsto dalla legge per la stampa del 1948, a tutti i siti informatici, indiscriminatamente.
In proposito, esattamente un anno fa, questa rubrica già segnalava le prime iniziative di protesta della rete. Iniziative che, tra l'altro, hanno poi trovato in Parlamento un'interlocuzione bipartisan. Il prontamente ribattezzato "comma ammazza-blog" (il comma 29) è stato dunque fatto oggetto di due diverse proposte di modifica, targate Pd e Pdl, a firma, rispettivamente, dei deputati Roberto Zaccaria e Roberto Cassinelli. Quest'ultimo, addirittura, nella stesura del suo emendamento si è avvalso della collaborazione del web, grazie a un innovativo progetto di scrittura collettiva.
Tuttavia lo scorso 21 luglio, in Commissione giustizia alla Camera, Giulia Bongiorno, nella sua veste di Presidente, ha reputato inammissibili entrambi gli emendamenti, scatenando l'ira della rete che si è sentita beffata dalla carenza di motivazioni, oltre che dal paradosso, registrato da Guido Scorza, secondo cui l'emendamento Zaccaria è stato prima dichiarato inammissibile e poi, ciò nonostante, ugualmente messo ai voti e bocciato.
Leggerezze? Approssimazioni? Mala fede? Sia come sia, il web non si è arreso e ha lanciato subito una nuova campagna, che su Facebook ha raccolto immediatamente diverse migliaia di adesioni. Contestualmente Fabio Chiusi del blog "Il Nichilista" ha dato una risposta articolata all'onorevole Bongiorno, che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 22 luglio 2010

Trasfusioni: i dilemmi della rete


La vicenda narrata nel blog "senzalimiti", molto dibattuta in rete, si dovrebbe comprendere, senza grosse difficoltà, già solo leggendo queste poche righe: "non potevo credere alle mie orecchie. Fino a ieri il mio sangue andava benissimo, anzi mi chiamavano pure a casa se magari facevo passare troppo tempo tra una donazione e l'altra, è andato bene per oltre venti volte e oggi non va più bene? Vi ho dato nove litri in otto anni e adesso non posso? E perché poi? Solo perché sono gay?".
Ed è esattamente questo, ciò che è successo: un donatore abituale, ritenuto perfettamente in grado di donare, in base agli standard normativi vigenti, d'un tratto non può più farlo, perché la struttura sanitaria presso cui svolgeva l'operazione lo colloca in una "categoria a rischio". Al riguardo va ricordato innanzi tutto che la questione non è nuova. Già quattro anni fa, infatti, l'allora Ministro della Salute Livia Turco, sull'argomento, si espresse in questi termini: "nel 2001, anche sulla base delle indicazioni degli Organismi europei, nella nostra normativa è stato rimosso ogni riferimento a 'categorie a rischio' focalizzando, invece, l'attenzione sulla più ampia e variegata categoria dei 'comportamenti a rischio'. Né sono stati a tutt'oggi rilevati validi motivi per modificare detta impostazione". Ma ciò che più conta, qui, è che Gabriele, il protagonista di questa vicenda, così come ogni altro donatore, è sano o non lo è indipendentemente da quello che può risultare da un rapporto statistico. In altre parole, quando è nota la storia clinica di una persona, quando gli esami medici e di laboratorio previsti dalla legge – i cosiddetti "protocolli per l'accertamento della idoneità del donatore di sangue e di emocomponenti" – attestano lo stato di buona salute (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 15 luglio 2010

Cassazione e maltrattamenti in famiglia: quando anche la Rete alimenta l'equivoco


Fino a che punto il desiderio di sanzionare certe condotte particolarmente riprovevoli può offuscare una serena capacità di giudizio, quando si tratta di questioni giuridiche? Un chiaro esempio di questo errore di valutazione ci è stato offerto, nei giorni scorsi, dall'unilateralità monolitica con cui si è descritta la vicenda del reato di maltrattamento in famiglia che, in base ad una recente pronuncia della Cassazione, non sussisterebbe più, se si dimostra che la persona maltrattata possiede un "carattere forte". In sostanza, informazione ufficiale e web all'unisono hanno creato la seguente massima giurisprudenziale: "quando la donna ha un carattere forte non costituiscono reato i maltrattamenti commessi a suo danno dal marito".
Peccato che – come opportunamente osserva l'avv. Carmela Puzzo in una "Nota a sentenza" pubblicata su "Diritto & Diritti" – "è evidente il travisamento da parte dei media del ragionamento e delle affermazioni effettuate dalla Suprema Corte, che con la decisione in esame non ha fatto altro che ribadire un orientamento pacifico della giurisprudenza".
Dunque, la Cassazione ha riaffermato che "per la sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia, che è reato a condotta plurima, non sono sufficienti singoli e sporadici episodi occasionali, in quanto i più atti che integrano l'elemento materiale del reato debbono essere collegati tra loro da un nesso di abitualità e devono essere avvinti, nel loro svolgimento, da un'unica intenzione criminosa, quella appunto di avvilire ed opprimere la personalità della vittima".
Rispetto a tali profili (abitualità ed intenzionalità della condotta): "il fatto non sussiste" per "evidenti carenze probatorie". E bastava leggere la sentenza, disponibile fin da subito in Rete, con la dovuta attenzione per (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 8 luglio 2010

Salpa dalla Rete la nave dei diritti


Creare "ponti, non muri". Tre semplici parole che permettono di cogliere a pieno lo spirito del sito "lo sbarco" ed il senso di questo "diario di bordo di un'impresa possibile". Quale impresa? Quella della "nave dei diritti", iniziativa promossa da nostri connazionali "che vivono a Barcellona" e che si dicono "seriamente preoccupati" per "ciò che avviene in Italia". Il manifesto di questo "movimento di cittadini/e", in Rete già da diversi mesi, racconta di come, vista dall'estero, l'Italia appaia sempre più come un Paese in cui "il razzismo cresce, così come l'arroganza, la prepotenza, la repressione, il malaffare, il maschilismo, la diffusa cultura mafiosa, la mancanza di risposte per il mondo del lavoro, sempre più subalterno e sempre più precario".
In Spagna, in particolare, desta sconforto la lettura dei "molti articoli" in cui "si è parlato dei campi Rom bruciati, dei provvedimenti di chiusura agli immigrati, delle aggressioni, dell'aumento dei gruppi neofascisti, delle ronde, dell'esercito nelle strade, della chiusura degli spazi di libertà e di democrazia, delle leggi ad personam". Tuttavia, i promotori, "convinti che ci siano migliaia di esperienze di resistenza, di salvaguardia del territorio, di difesa dei diritti, della salute, di servizi pubblici di qualità", hanno deciso di dar vita ad un percorso di sostegno dei valori positivi dell'Italia che non fa notizia.
Da qui, l'idea di celebrare i 150 anni dallo sbarco dei Mille, salpando in nave da Barcellona per portare "un grido di aiuto e solidarietà" agli Italiani che resistono a questo "imbarbarimento pericoloso". Una nave per solcare il Mediterraneo e ricordare, tra l'altro, che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 1 luglio 2010

Berlusconismo gramsciano? La Gelmini punta all'egemonia culturale


Le recenti dichiarazioni del ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, sul berlusconismo come nuovo modello culturale nazionale, hanno suscitato non poche perplessità, in Rete. Soprattutto per il ruolo che le è proprio. L'intento di far “affermare una cultura di centrodestra anche nella scuola e nell’università”, infatti, quando viene proclamato proprio da chi sta effettivamente mettendo mano a queste preziosissime istituzioni, assume un peso che, poi, difficilmente potrà essere negato o sminuito.
Del resto, la neonata fondazione Liberamente, nelle parole del ministro che più hanno fatto scalpore, ha una missione ben precisa: “proporre il berlusconismo” come “una conquista del Paese che vogliamo difendere (...) anche in un ambito culturale in cui vige l’egemonia della sinistra, che pensa che il centrodestra sia privo di identità culturale”. Il berlusconismo, insomma, “non è qualcosa da mettere tra parentesi, come vorrebbe la sinistra che propaga la sua retorica del pessimismo”. Anzi: “proprio perché è un momento di crisi e di difficoltà non si può diffondere sfiducia ma è necessario puntare sull’ottimismo della volontà”.
Ora, per quanto non si possa certo parlare di un revival della fascistizzazione della scuola, non vanno nemmeno taciuti i segnali che destano preoccupazione. Su tutti, valga la presa di posizione dell'Anpi rispetto alla scelta ministeriale di proporre per la maturità di quest'anno un tema storico-politico che legittima il duce del fascismo, nel suo assumersi in Parlamento la responsabilità del delitto Matteotti, mettendo questo discorso sullo stesso piano di quelli di un papa e di due leader politici dell'Italia repubblicana.
Ma ancor più singolare è l'uso (consapevole?) del lessico gramsciano in chiave neo-conservatrice. Ciò che soltanto l'improvvida furia iconoclasta del PD ha reso possibile, laddove solo si consideri che "pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà" era il motto che Gramsci definiva “la parola d'ordine di ogni comunista”. 

Giuseppe D'Elia

giovedì 24 giugno 2010

Alziamo le mani: la Costituzione non è un inferno


Citano Calamandrei e non considerano normale avere a capo dell'Esecutivo un uomo in lotta con la Costituzione della Repubblica; quella stessa Carta sulla quale egli ha giurato e che invece poi svilisce deliberatamente e ripetutamente. "Alziamo le mani: la Costituzione non è un inferno" è l'iniziativa del gruppo Facebook "La Costituzione avrà più sostenitori di Silvio Berlusconi". Un gruppo che, attualmente, raccoglie già circa 80mila persone e che ha deciso di organizzare una campagna mediatica dal basso, per reagire al più veemente attacco alla Carta, tra i tanti che si sono ascoltati nelle ultime settimane.
L'invito, in breve, è questo: scriverselo direttamente sulle mani che "la Costituzione non è un inferno". Un po' come si fa da ragazzini con quelle cose importanti che, però, temiamo possano sfuggirci di mente, all'occorrenza. Ovviamente, la campagna si fonda sull'attivismo dei cittadini che stanno fotografando e mettendo in Rete le proprie mani, con l'appunto vergato a chiare lettere sui palmi.
Appunti preziosi, come quelli di Piero Calamandrei, l'insigne giurista che così si rivolgeva, a chi voleva comprendere lo spirito della Legge fondamentale della Repubblica: "dietro ogni articolo della Costituzione, giovani, voi dovete vedere (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 17 giugno 2010

La rete si scatena: Daniele Luttazzi, copione o originale?


Daniele Luttazzi copia o abbonda con le citazioni? In estrema sintesi, è questo il tema che più di tutti ha infiammato il dibattito in Rete da qualche giorno a questa parte. La tesi prevalente è quella che non concede appello al comico. In breve: c'è un video che mostra diverse battute originali in inglese (sottotitolate da ComedySubs) di comici americani, riprese pari pari da Luttazzi nei suoi spettacoli; il video si diffonde con rapidità via via crescente a seguito di una serie di maldestri tentativi di farlo sparire dal web; Luttazzi, nota vittima di censura politica, viene infine additato come mandante di queste censure, che dimostrerebbero dunque la sua mala fede.
Va detto, innanzi tutto, che digitando in un motore di ricerca la chiave "il meglio non è di Luttazzi" il famigerato filmato è facilmente visionabile. Più si cerca di oscurare un contenuto, più quel contenuto suscita curiosità ed il web della condivisione, ovviamente, amplifica questo fenomeno. D'altra parte, la querelle è risalente nel tempo (almeno un paio d'anni): nel blog ntvox.blogspot.com c'è un catalogo dettagliato di tutti i contributi tratti da lavori altrui che Luttazzi ha in repertorio.
La difesa del comico? Nel suo blog, Luttazzi solleva due obiezioni: 1) il video recentemente diffuso non è affatto una novità ed è anzi diffamatorio; 2) che egli si ispirasse a certa comicità d'oltreoceano è fatto notorio, tant'è che, nello stesso blog, ha sfidato i fan a rintracciare le citazioni.
Difesa debole, però. Lo stratagemma di inserire frammenti di altri autori in repertorio, per dimostrare (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 10 giugno 2010

Rompere il blocco navale: le ragioni del Free Gaza Movement


Il cruento abbordaggio di una delle navi umanitarie della "Freedom flotilla", messo in atto dalle forze di difesa israeliane, ha focalizzato nuovamente l'attenzione del web sull'assedio di Gaza. In attesa degli esiti dell'inchiesta promossa (col voto contrario di Italia, Olanda e Usa) dal Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu, nella ridda di informazioni circolate in proposito, alcuni punti fermi ci sembrano individuabili fin d'ora. Sull'illegittimità del blocco navale, soprattutto. Già prima della tragedia, infatti, Gideon Levy offriva – sull'israeliano Haaretz.com (articolo rinvenibile su megachipdue.info) – una valutazione durissima di tutta questa vicenda: "la propaganda ha cercato di rifilare a noi e al mondo l'idea che l'occupazione di Gaza sia finita, e che in ogni caso Israele abbia l'autorità legale per bloccare gli aiuti umanitari. Una montagna di bugie".
Del resto, l'ultimo rapporto di Amnesty International, da un lato, certifica come oggi l'80% della popolazione di Gaza dipenda dagli aiuti umanitari e, dall'altro, sottolinea che "la portata del blocco e le dichiarazioni dei funzionari israeliani riguardo al suo scopo" dimostrino chiaramente la sua istituzione "come forma di punizione collettiva nei confronti degli abitanti di Gaza, in palese violazione del diritto internazionale".
Testimonianze, queste, che aiutano a capire meglio le ragioni del Free Gaza Movement così espresse nel loro sito: "dato il continuo e sostenuto fallimento da parte della comunità internazionale (...), crediamo fortemente che noi tutti, come cittadini del mondo, abbiamo l'obbligo morale di intervenire". In definitiva, la missione della flottiglia, visti i buoni precedenti – il Movimento, negli ultimi due anni, già "è salpato da Cipro per la Striscia di Gaza diverse volte con successo" – mirava a "stabilire una linea di contatto permanente via mare tra Cipro e Gaza", garantendo (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 3 giugno 2010

Social network, Tyarannybook chiude per eccesso di visite


Più di due milioni di visitatori in pochi giorni. Un successo talmente inaspettato, quello di Tyarannybook, che gli attivisti della sezione portoghese di Amnesty International si sono dovuti infine arrendere, optando per una temporanea chiusura. Perché? La risposta la si può leggere direttamente su quel che resta del social network anti-tirannia: "con la grande popolarità è arrivata una domanda travolgente di investimenti e risorse tecniche e di personale".
Una domanda che, evidentemente, non può essere soddisfatta da una struttura non-profit e che, quindi, "per ora", rende di fatto impossibile "mantenere l'esperienza di Tyrannybook così come era stata originariamente concepita".
Comprendere al meglio il funzionamento di Tyrannybook, ora che non è più attivo, rimane operazione comunque fattibile, grazie al filmato di lancio della campagna, tuttora rinvenibile on line. L'idea, in effetti, era tanto semplice quanto efficace: dar vita ad un social network di osservatori dei più noti tiranni del pianeta, che – salvo qualche lieve ritocco grafico – ricalcasse la struttura base di Facebook.
In pratica (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 27 maggio 2010

Intercettazioni: il paradosso della privacy del mafioso


Che sia proprio il sottosegretario per l'Attuazione del Programma di Governo, Daniela Santanché, a svelare in TV le contraddizioni della legge sulle intercettazioni telefoniche, con le sue dichiarazioni a Mattino 5 sulla necessità di proteggere la privacy dei mafiosi, è uno di quei curiosi scherzi del fato che il web permette di valutare meglio, ascoltando le parole della diretta interessata, prontamente caricate su You Tube da più di un utente. Video-denunce fatte con indignazione e con la speranza – forse non vana, alla luce delle pressanti mobilitazioni della società civile di questi giorni – di poter bloccare in qualche modo un provvedimento che rischia di ostacolare sia la libertà di informazione, che il lavoro di investigatori e inquirenti.
Al filmato si può accedere agevolmente con la chiave di ricerca "difendiamo la privacy dei mafiosi", sintesi estrema di un discorso, in realtà, un po' più articolato, ma ugualmente illogico. La Santanché, difatti, sostiene che la finalità programmatica della legge è quella di limitare lo spreco di risorse economiche causato da un eccessivo ricorso allo strumento d'indagine dell'intercettazione telefonica. Per fare un esempio, poi, spiega che se "si sta indagando su un mafioso (...), intercettarlo mentre parla con la fidanzata degli atti sessuali che compie, o quando parla con la madre (...), non ha senso: è un abuso". Peccato che non consideri che un criminale potrebbe tradirsi anche (soprattutto?) in una conversazione telefonica informale. Peccato che la stessa Santanché, alla fine, si tradisce, criticando il "processo mediatico" che precede "il giusto processo" nei tribunali; se c'è il processo, infatti, c'è anche la notitia criminis: con il che siamo già chiaramente fuori dallo scenario da lei ipotizzato. Non è un caso, insomma, se persino un giurista del calibro di Rodotà ha dichiarato di recente che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 20 maggio 2010

I blogger dibattono sull'emergenza sanità tra risorse e sprechi


La notizia che "le Regioni che hanno i conti della sanità in rosso saranno costrette ad aumentare la pressione fiscale e non potranno utilizzare i fondi Fas per ripianare il deficit" è stata rilanciata nel web, soprattutto, facendo ricorso ad una dichiarazione del ministro Fazio, che desta non poche perplessità. Il titolare del dicastero della Salute si è espresso in termini perentori sul punto: "siamo in una situazione che non può consentire di utilizzare fondi Fas come un bancomat".
Giusto così? Pure se il Fondo Aree Sottoutilizzate dispone di risorse comunitarie stanziate per "perseguire l'obiettivo del riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese" e, tranne il Lazio, le regioni citate fanno tutte parte delle zone meno sviluppate? In altre parole, si può pretendere di far gravare gli errori di gestione delle sanità regionali sulle spalle dei soli cittadini residenti in loco, senza vanificare in questo modo il piano di riequilibrio Nord-Sud?
Spulciando in Rete, tra l'altro, si scopre che un utilizzo dei Fas come fossero un bancomat, in realtà, c'è già stato. In una mozione presentata alla Camera da Dario Franceschini, il 30 aprile 2009, si legge infatti che si è disposto dei fondi come fossero "un salvadanaio da poter utilizzare per ogni evenienza, un bancomat improprio, utile sia per far fronte alle promesse elettorali (...) sia per coprire ogni tipo di esigenza di spesa corrente".
Lo stesso governo, insomma, che, fin qui, ha fatto ricorso a parte delle "risorse del Fas già stanziate per la programmazione 2007-2013" per coprire voci di spesa nazionali, ora pone un veto rispetto alla possibilità di utilizzarle per un intervento straordinario, rivolto alle aree più direttamente interessate dal programma. Si comprende, così, la netta presa di posizione che – sulla base delle critiche contenute in "un documento riservato del Cnel" – già a dicembre 2009, si poteva leggere su Left-avvenimentionline.it: lo "scippo al Mezzogiorno" è (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 13 maggio 2010

RSF Italia bacchetta il premier: la libertà di stampa non è mai troppa


Tra le tante reazioni registrate in Rete in relazione a quella infelice battuta del capo del governo sulla "fin troppa libertà di stampa" che vi sarebbe in Italia – "un fatto che non è discutibile", a suo dire –, le risposte più significative sono targate RSF. Parole del presidente della sezione italiana di Reporters sans Frontières, Mimmo Càndito, per l'esattezza, rilanciate, poi, da diversi blog. Lo storico inviato de La Stampa, attraverso il sito di RSF, si è infatti espresso con estrema chiarezza sul punto: "quanto dichiara il presidente del Consiglio (...) suona amaramente come una di quelle minacciose dichiarazioni che erano pratica di governo di certi poteri che venivano definiti latinoamericani".
Del resto, anche se non identiche nei numeri dei posizionamenti nelle classifiche mondiali, le analisi di Rsf non si discostano nella sostanza da quelle di Freedom House che avevano innescato la reazione polemica del premier. Se, difatti, per Fh l'Italia è tra i paesi "parzialmente liberi" (tra i 25 paesi dell'area "Europa Occidentale", solo la Turchia si trova nelle nostre stesse condizioni), per Rsf, "nella classifica mondiale sulla libertà di manifestazione del pensiero", la nostra repubblica risulta, addirittura, "ultima tra i paesi di democrazia avanzata".
Càndito, peraltro, motiva in maniera circostanziata questi risultati negativi: "giornalisti epurati se dissenzienti, giornalisti premiati se servili, attacchi agli spazi di investigazione, normative penalizzanti del lavoro di cronaca politica, minacce continue contro le voci che denunciano un clima di pesante riduzione al conformismo, mistificazione spudorata della realtà, utilizzo spregiudicato del conflitto di interessi". Insomma, il rischio è (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 6 maggio 2010

Pillola del giorno dopo e Ru-486, la bioetica anima la blogosfera


Può un disegno di legge "in materia di obiezione di coscienza dei farmacisti nella dispensa dei farmaci rientranti nella contraccezione di emergenza" essere etichettato sotto la voce 'aborto', in una sintesi giornalistica? La domanda è circolata in Rete, a seguito della recenti dichiarazioni della relatrice, la senatrice Spadoni Urbani (PdL), sulla necessità di "tutelare coloro che non intendano collaborare con il cliente, riconoscendo loro la clausola dell'obiezione di coscienza, come è già stato fatto per i medici". Dichiarazioni riportate in articoli che, in effetti, sarebbe stato opportuno ascrivere, tutt'al più, alla categoria 'bioetica'.
Le perplessità dei blogger – "Aborto? Ma quale aborto?", chiosava sarcasticamente Metilparaben – si fondano sulla mera constatazione che i farmaci in questione, proprio in quanto contraccettivi post-coitali, vanno assunti a breve distanza dal rapporto. Per dirla in parole povere, insomma, la cosiddetta "pillola del giorno dopo" non va confusa con la RU-486, perché solo quest'ultima è senz'altro un farmaco abortivo.
Sembra, dunque, più che mai attuale l'appello che Silvio Viale lanciava, già a fine ottobre 2007, in una "nota sulla contraccezione di emergenza per i giornalisti". Un documento, questo, in cui il medico radicale esclude anche che il farmaco possa agire "bloccando l'impianto in utero dell'ovulo fecondato". Per Viale, cioè, la pillola agisce esclusivamente "impedendo la penetrazione dello spermatozoo nell'ovulo" e, anzi, poiché "l'efficacia dipende dalla distanza tra il rapporto e l'ovulazione" sarebbe preferibile che pure in Italia il rimedio fosse disponibile come "prodotto da banco". Del resto, se è vero che la "finestra fertile" dura "cinque giorni", è pur vero che (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 29 aprile 2010

All'Asinara si celebra il primo maggio: festa del lavoro che non c'è


Celebrare la ricorrenza del primo maggio, organizzando all'Asinara "la festa del lavoro che non c'è", è l'ultima geniale trovata di quelli dell'Isola dei Cassintegrati.
Una sorta di "festa alternativa" – con tanto di foto inviate via internet da chi solidarizza coi senza lavoro, ma non potrà essere fisicamente con loro – che ci offre l'opportunità di dare un giusto riconoscimento alla "prima protesta operaia in diretta sul web". Una protesta in atto già da oltre due mesi, veicolata dal "blog dell'unico reality 'reale', purtroppo". Purtroppo, come recita il sottotitolo del blog, perché la realtà di chi resta senza lavoro in una fase di crisi economica è a dir poco angosciante. Troppo spesso, per giunta, si tratta di una realtà del tutto ignorata da chi non ne è direttamente coinvolto. Ciò – bisogna riconoscerlo – anche a causa della non sempre adeguata copertura mediatica di cui godono gli angoli bui di certi meccanismi di mercato. Meccanismi che, poi, in fin dei conti sono quelli che più incidono sulle vite di chi li subisce: vale a dire dei lavoratori che perdono il lavoro e delle loro famiglie.
Nondimeno, l'idea di trasformare il vecchio carcere dell'Asinara in una sorta di set satirico che, puntando sulla solidarietà della Rete, sbeffeggia quella pallida imitazione della realtà che domina da anni gli schermi televisivi di questo paese, ha funzionato. Il gruppo di cassintegrati Vinyls (ex Enichem di Porto Torres) ed Eurocoop che ha dato vita a questa originale forma di protesta ha raccolto infatti il sostegno di decine di migliaia di cittadini. Sono circa centomila, oggi, gli utenti di Facebook che sostengono l'iniziativa: elemento non certo irrilevante per l'attenzione che il mondo dell'informazione nel suo complesso ha finalmente riservato al dramma esistenziale di questi lavoratori del settore chimico. Ed il fatto che l'Eni, ora, dichiari pubblicamente di stare "dalla parte dei lavoratori" dà il segno che, forse, davvero "qualcosa è cambiato" (...)

Giuseppe D'Elia

giovedì 22 aprile 2010

Il premio Pulitzer a un giornale online del settore no profit


L'importanza di un prestigioso riconoscimento come il premio Pulitzer, conferito quest'anno al sito americano ProPublica.org, nella categoria "Investigative Reporting", è in realtà duplice. Non solo si tratta, infatti, della prima volta che il premio va ad un soggetto "non-profit", nato apposta per il web. Ma, soprattutto, è l'ambito di riferimento a testimoniare inequivocabilmente quanto oggi internet sia determinante anche in settori essenziali del sistema informativo. Mai come stavolta, insomma, suonano come un chiaro riconoscimento le parole del formulario di rito con cui, appunto, "per un ragguardevole esempio di giornalismo investigativo", viene assegnato il premio alla cronista di ProPublica, Sheri Fink, per il suo reportage "The Deadly Choices at Memorial". Un dettagliato lavoro, pubblicato anche dal New York Times Magazine, sulle delicatissime scelte, circa la vita o la morte dei pazienti, che una parte del personale medico ha compiuto al Memorial Medical Center di New Orleans, durante l'emergenza causata dall'uragano Katrina, a fine agosto 2005.
In assenza di un rigoroso rispetto di protocolli e procedure decisionali, chi somministra dosi letali di farmaci sedanti ad un malato reputato senza speranze rischia, difatti, conseguenze penali anche laddove tale forma di eutanasia fosse permessa dalla legge. E come decidere poi l'ordine di priorità nei soccorsi, in situazioni critiche come quelle emergenziali, quando si sa, cioè, che non si riuscirà a salvare tutti? Quanto sia difficile definire al meglio procedure di questo tipo e muoversi senza errori su crinali così delicati (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 15 aprile 2010

Videoreporter di guerra, in rete immagini atroci dal fronte iracheno


Lo scoop di Wikileaks.org sui cosiddetti "danni collaterali" delle guerre umanitarie svela l'ipocrisia dell'ossimoro bellicista già nel titolo del filmato, ormai, diffuso da tutti i media: "assassinio collaterale". Non a caso, dunque, il video si apre con una citazione di Orwell sulla potenza mistificatoria del "linguaggio politico", capace di far sembrare "l'omicidio rispettabile" e, persino, di "dar l'aspetto di solidità al puro vento". Ed infatti tutta la retorica bellica, letteralmente, si svuota di fronte alla forza di queste immagini 'riservate', girate dagli stessi militari.
Periferia irachena, 12 luglio 2007. Pattugliamento stradale via elicottero. Ad un certo punto, il mirino inquadra una decina di persone e la squadra chiede (ed ottiene) subito l'autorizzazione ad attaccare. Perché? Semplicemente, perché gli strumenti di lavoro di un fotoreporter della Reuters sono stati confusi con delle armi. Ma, al di là dell'errore fatale, ciò che conta è che il filmato reso pubblico ci mostra l'equivalente di un'esecuzione sommaria. Un tiro a bersaglio da videogame che, però, lascia nella polvere vittime in carne, ossa e sangue. Ed ancora più agghiacciante è la parte conclusiva del video. Laddove, di lì a poco, la stessa scena si ripeterà, addirittura, nei confronti di un furgone sul quale due persone cercavano solo di caricare una delle vittime per soccorrerla. Possiamo aprire il fuoco? Ok, aprite il fuoco. In quel furgone (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 8 aprile 2010

Elezioni regionali: la metà dei neo-astenuti, l'anno scorso, votava PdL



Tracciare una sintesi completa dell'esplosione di post usciti in Rete per commentare gli esiti delle recenti elezioni regionali è quasi impossibile. Ci pare preferibile, dunque, evidenziare esclusivamente alcune interessanti considerazioni che emergono riguardo al tema dell'incremento delle astensioni. Ci riferiamo in particolar modo ad un'interpretazione, uscita su polisblog.it, di alcuni sondaggi diffusi da Renato Mannheimer nel programma di Vespa, oltre che sulla grande stampa nazionale. Laddove, rispetto ai due profili rilevati – motivazioni che hanno spinto l'elettore ad optare per il "non voto" e precedente orientamento politico degli astenuti – le chiavi di lettura offerte nel blog ci sembrano non del tutto in linea coi numeri.
Sia nel titolo, che nello sviluppo del discorso, infatti, "l'analisi dell'astensionismo" viene definita "sicuramente bipartisan", mentre degli aspetti motivazionali si offre questa interpretazione: "oltre il 40% non ha votato per disgusto e protesta". Quest'ultima considerazione, in realtà, ci pare senz'altro riduttiva. L'unica voce del sondaggio

Giuseppe D'Elia

giovedì 1 aprile 2010

Un video della Bbc celebra la rete: mezzo rivoluzionario


Condensare un messaggio significativo in un video di sessanta secondi non è facile. Ma bisogna ammettere che i creativi di Bbc World News hanno davvero superato se stessi, nel promo usato per il lancio della Super Power Season del mese scorso. Per invogliare il pubblico a seguire due settimane di programmi web e radiotelevisivi, dedicati allo "straordinario impatto della Rete sulle nostre vite", infatti, hanno scelto un tipo di narrazione che, non a caso, ha entusiasmato diversi blogger.
Il filmato si apre con l'immagine di una donna vagamente eterea che saluta i "Cittadini della Terra", spiegando innanzitutto che la sua gente utilizza tecnologie che "permettono di liberarsi della forma fisica", nonché di percorrere anche "grandi distanze in un batter d'occhio". Questa figura femminile, luminosa, quasi spirituale, affiancando, poi, Barack Obama, racconta del loro costante dialogo coi principali leader del pianeta, per "aiutare la razza umana a sopravvivere alla sua infanzia".
Nelle due scene successive, si rafforza l'impressione di avere a che fare con una sorta di presenza extracorporea non umana:
(...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 25 marzo 2010

Sabato 27 marzo mezzo mondo al buio per l'allarme clima



Dopo il mezzo fallimento del vertice ambientale di Copenhagen, "l'ora della Terra", l'annuale appuntamento promosso dal WWF, sin dal 2007, è ancora più sentito del solito, vista l'esigenza pressante di continuare a chiedere "un accordo globale sul clima", che sia "efficace e vero". Anche per questo, dunque, sabato 27 marzo, alle 20.30, "in tutto il pianeta si spegneranno le luci per un'ora". Ed è chiaro che senza il web il crescente successo che l'evento sta registrando non sarebbe stato neanche lontanamente immaginabile. Stando agli ultimi dati disponibili on line, infatti, è già stato superato il record delle 88 nazioni aderenti, dello scorso anno.
Sono 110, al momento, i paesi che hanno aderito e (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 18 marzo 2010

L'ARROGANZA DI UN POTERE SENZA LIMITI



L'arroganza del Potere. Passerà alla storia con questa didascalia l'immagine di un ministro in carica che, letteralmente, cerca di buttar fuori un cronista, reo di aver posto una domanda scomoda al capo del governo. Non a caso, insomma, quest'istantanea ha fatto immediatamente il giro del web, per essere poi ripresa anche dalla stampa di mezzo mondo. E se lo sguardo dell'osservatore si sposta dal dettaglio al quadro d'insieme, le cose non migliorano affatto. Perché quella scena avviene davvero in un contesto surreale. Perché per l'ennesima volta, in sedici anni di cronache politiche, il primo ministro italiano proclama l'infallibilità della sua parte, vittima di fantomatici complotti della fazione avversa, messi in atto, al solito, con la complicità di alcuni giudici.

Il tutto nel corso di una conferenza stampa farsesca, in cui, mentre si continuava a raccontare la storiella della competizione elettorale regionale falsata dall'assenza della lista del principale partito, si ammetteva candidamente che il sostegno del medesimo partito, a questo punto, sarebbe stato indirizzato direttamente verso il listino del candidato presidente. Con il che, da un lato, si rivelava l'inconsistenza dell'argomento urlato per giorni della competizione con un solo candidato presidente in campo (quello della fazione che complotta coi giudici per sovvertire la volontà popolare, ovviamente); dall'altro si svelava come l'unico vero problema fosse che su certe poltrone non si sarebbero potuti accomodare i prescelti del preteso principale partito. Quello stesso partito che – sia ben chiaro – se è, o non è, principale lo decidono di volta in volta gli elettori, valutandone i comportamenti. E tra i comportamenti non rientra anche la capacità di consegnare una lista per tempo e non all'ultimo minuto? Per non parlare dell'incapacità di ammettere i propri errori e della forzatura di un decreto mal scritto, fatto firmare in fretta e furia al Presidente della Repubblica, pur di provare a rientrare in gioco. 

Giuseppe D'Elia

giovedì 11 marzo 2010

Rifiuti zero, la teoria di Paul Connett spopola su internet



Che diranno ora gli scettici? Quelli che irridevano il prof. Paul Connett, guru web della "strategia rifiuti zero", quando affermava che "i rifiuti residui sono la prova che abbiamo errori di progettazione a livello industriale", perché "se non lo possiamo riusare, se non lo possiamo riciclare e non lo possiamo compostare, le industrie non dovrebbero farlo". Quanti ammetteranno, a questo punto, che la recente condanna che la Corte di giustizia europea ha comminato all'Italia in violazione della direttiva comunitaria sul trattamento dei rifiuti, nel sanzionare il "deficit strutturale di impianti" in Campania, non intendeva certo far riferimento solo all'assenza dei termovalorizzatori? Eppure il dispositivo definisce chiaramente i compiti degli Stati membri: "creare una rete integrata ed adeguata di impianti", al fine di "assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione promuovendo, in particolare, tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili". Se l'obiettivo prioritario è dunque il riciclo ed il riutilizzo dei prodotti, se le tecnologie da promuovere nel processo di trattamento dei rifiuti devono essere pulite, una strategia che miri ad eliminare progressivamente tutto quello che non può essere usato e riusato, non è esattamente ciò che serve per ottemperare al precetto comunitario?
La ricetta, del resto, è sostanzialmente la stessa che propone il presidente del Wwf Italia, Stefano Leoni, quando sostiene che "se non affronteremo seriamente il tema della prevenzione e del recupero materia dai rifiuti, nel giro di pochi anni ci troveremo di fronte ad emergenze ben più complesse e a numerose altre condanne". Per scongiurare, quindi, entrambi i pericoli bisogna, da un lato (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 4 marzo 2010

Processo breve: sul blog dei giudici monta la polemica



Come raggiungere l'obiettivo di una ragionevole durata dei processi in Italia? Secondo una suggestiva tesi, ultimamente molto in voga, "contro la durata indeterminata dei processi" bisognerebbe semplicemente imporre per legge delle scadenze certe, per ogni grado di giudizio. Il ragionamento, ridotto all'osso, è questo: se i processi durano molto è perché la giustizia è lenta; quindi, basterebbe 'contingentare' i tempi, per avere senz'altro un incremento dei ritmi di lavoro dei tribunali tale da consentire il rispetto dei termini. Peccato, però, che il limite più evidente di questo ragionamento sia già emerso in Rete da qualche settimana. Digitando, infatti, in un motore di ricerca la chiave "protesta degli avvocati contro i giudici stakanovisti" è possibile leggere tutti gli estremi di una recente vicenda giudiziaria che a tratti sfiora il paradosso.
Sono i magistrati di toghe.blogspot.com a dar notizia della "surreale protesta dell'Unione delle Camere Penali" contro il Tribunale di Nola, reo di fissare addirittura "quattro udienze alla settimana", onde arrivare a "definire delicati processi contro imputati di gravi reati". Per gli avvocati, insomma: "pur di condurre a termine i dibattimenti in tempi tali da consentire il permanere della custodia cautelare di alcuni degli imputati, il collegio giudicante non ha esitato a precludere ad essi, di fatto, il diritto di difesa e persino a violare palesemente le regole processuali".
In pratica (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 25 febbraio 2010

Corruzione: Italia bocciata da Transparency International


Tangentopoli bis o solo qualche isolata birbanteria? In poche parole è principalmente attorno a questo interrogativo che si è sviluppato il dibattito in Rete in questi ultimi giorni. Un dibattito in cui sembra prevalere l'idea di una corruzione a dir poco dilagante; anche se c'è pure qualcuno che minimizza, rispolverando la tesi del complotto giudiziario dei giudici politicizzati che tendono ora a condizionare, ora a sovvertire gli esiti elettorali.  
Ad indebolire le ragioni dei teorici dei "casi isolati" e delle "inchieste ad orologeria" vi è, però, un'analisi di un organismo internazionale indipendente, disponibile on line già dallo scorso novembre. Transparency International è un'organizzazione che, dagli inizi degli anni Novanta, fa della "lotta contro la corruzione" la sua stessa ragione di vita, cercando di realizzare una "coalizione globale" che punta a porre fine al "devastante impatto della corruzione" nelle nostre società. Ebbene, questa associazione elabora ogni anno un "Indice di percezione della corruzione" (Corruption Perceptions Index) che, usando una scala da zero a dieci, approssimata al primo decimale, consente di stilare una classifica dei paesi più o meno virtuosi.
Purtroppo, i dati rilevati nel 2009 danno conferma di una accentuata tendenza del nostro paese a quella 'opacità' che facilita le pratiche corruttive. E ciò, soprattutto, in raffronto ai nostri partner europei. Con un coefficiente di 4,3, infatti (...) 

Giuseppe D'Elia

giovedì 18 febbraio 2010

Rifiuti, i paesi vesuviani esprimono in rete tutto il loro dissenso


Considerando che "il Parco Nazionale del Vesuvio (...) è stato istituito al fine di salvaguardare i valori del territorio, di applicare metodi idonei a realizzare una corretta integrazione tra uomo e ambiente, di promuovere attività di educazione ambientale e di ricerca scientifica", la scelta di adibire a discarica delle località situate nel parco può essere considerata ponderata e ragionevole? In sintesi, è da questa domanda che bisogna partire per cercare di sbrogliare l'intricata matassa di una vicenda che rischia di calpestare i più elementari diritti di cittadinanza, in nome di logiche emergenziali che, per definizione, dovrebbero avere carattere eccezionale e temporaneo.
Per avere un ampio resoconto degli ultimi avvenimenti e delle ragioni della protesta dei movimenti civici dei comuni direttamente interessati, si può digitare "vesuviani in lotta" in un motore di ricerca ed accedere così ad una pagina facebook, corredata di blog (vesuvioinlotta.blogspot.com) e link specifici.
In breve: a Terzigno, uno dei comuni del Parco Nazionale, "dopo l'apertura nel 2009 della discarica ex Sari (...) il Consiglio dei Ministri ha decretato l'apertura di una nuova mega discarica (cava Vitiello) attigua alla prima ed in grado di ricevere rifiuti per oltre dieci anni".
Chi conosce la storia di quei territori, dunque (...) 

Giuseppe D'Elia 

giovedì 11 febbraio 2010

Scuola: riforma epocale, dicono. Ma qual è l'attuale livello d'istruzione degli Italiani?

Nella settimana in cui nel web si è discusso molto di una riforma del sistema scolastico che, nel bene e nel male, viene comunque descritta come 'epocale', c'è una domanda inespressa che viaggia sottotraccia. Prima di ogni altra cosa, non dovremmo infatti chiederci quanto è istruito, attualmente, il popolo italiano?  
Sul punto, digitando in un motore di ricerca la chiave "Annuario statistico italiano 2009", nel cap. 7 del rapporto Istat citato, espressamente dedicato all'Istruzione, si possono trovare risposte significative. Di particolare interesse è la Tavola 7.16 di pag. 202, che contiene gli ultimi dati disponibili sui "titoli di studio" conseguiti dalla "popolazione residente". 
I numeri (aggiornati al 2008) ci danno conto, in definitiva, di una massa di quasi 51 milioni di individui – adulti maggiorenni e minori fino a 15 anni – in cui l'istruzione superiore, dal diploma di maturità in su, riguarda circa 19 milioni e mezzo di persone. La maggioranza degli Italiani, 31 milioni e mezzo di cittadini, invece, ha un livello di istruzione medio-basso. Poco più di: 16 milioni, quelli con una "licenza media"; 12 milioni e settecentomila, quelli con una "licenza elementare" o "nessun titolo"; 2 milioni e settecentomila, quelli con una "qualifica professionale". 
Bisogna dunque intendersi: se si riconosce all'istruzione un valore formativo in sé (...) 

Giuseppe D'Elia