giovedì 27 maggio 2010

Intercettazioni: il paradosso della privacy del mafioso


Che sia proprio il sottosegretario per l'Attuazione del Programma di Governo, Daniela Santanché, a svelare in TV le contraddizioni della legge sulle intercettazioni telefoniche, con le sue dichiarazioni a Mattino 5 sulla necessità di proteggere la privacy dei mafiosi, è uno di quei curiosi scherzi del fato che il web permette di valutare meglio, ascoltando le parole della diretta interessata, prontamente caricate su You Tube da più di un utente. Video-denunce fatte con indignazione e con la speranza – forse non vana, alla luce delle pressanti mobilitazioni della società civile di questi giorni – di poter bloccare in qualche modo un provvedimento che rischia di ostacolare sia la libertà di informazione, che il lavoro di investigatori e inquirenti.
Al filmato si può accedere agevolmente con la chiave di ricerca "difendiamo la privacy dei mafiosi", sintesi estrema di un discorso, in realtà, un po' più articolato, ma ugualmente illogico. La Santanché, difatti, sostiene che la finalità programmatica della legge è quella di limitare lo spreco di risorse economiche causato da un eccessivo ricorso allo strumento d'indagine dell'intercettazione telefonica. Per fare un esempio, poi, spiega che se "si sta indagando su un mafioso (...), intercettarlo mentre parla con la fidanzata degli atti sessuali che compie, o quando parla con la madre (...), non ha senso: è un abuso". Peccato che non consideri che un criminale potrebbe tradirsi anche (soprattutto?) in una conversazione telefonica informale. Peccato che la stessa Santanché, alla fine, si tradisce, criticando il "processo mediatico" che precede "il giusto processo" nei tribunali; se c'è il processo, infatti, c'è anche la notitia criminis: con il che siamo già chiaramente fuori dallo scenario da lei ipotizzato. Non è un caso, insomma, se persino un giurista del calibro di Rodotà ha dichiarato di recente che (...) 

Giuseppe D'Elia