giovedì 10 giugno 2010

Rompere il blocco navale: le ragioni del Free Gaza Movement


Il cruento abbordaggio di una delle navi umanitarie della "Freedom flotilla", messo in atto dalle forze di difesa israeliane, ha focalizzato nuovamente l'attenzione del web sull'assedio di Gaza. In attesa degli esiti dell'inchiesta promossa (col voto contrario di Italia, Olanda e Usa) dal Consiglio dei diritti dell'uomo dell'Onu, nella ridda di informazioni circolate in proposito, alcuni punti fermi ci sembrano individuabili fin d'ora. Sull'illegittimità del blocco navale, soprattutto. Già prima della tragedia, infatti, Gideon Levy offriva – sull'israeliano Haaretz.com (articolo rinvenibile su megachipdue.info) – una valutazione durissima di tutta questa vicenda: "la propaganda ha cercato di rifilare a noi e al mondo l'idea che l'occupazione di Gaza sia finita, e che in ogni caso Israele abbia l'autorità legale per bloccare gli aiuti umanitari. Una montagna di bugie".
Del resto, l'ultimo rapporto di Amnesty International, da un lato, certifica come oggi l'80% della popolazione di Gaza dipenda dagli aiuti umanitari e, dall'altro, sottolinea che "la portata del blocco e le dichiarazioni dei funzionari israeliani riguardo al suo scopo" dimostrino chiaramente la sua istituzione "come forma di punizione collettiva nei confronti degli abitanti di Gaza, in palese violazione del diritto internazionale".
Testimonianze, queste, che aiutano a capire meglio le ragioni del Free Gaza Movement così espresse nel loro sito: "dato il continuo e sostenuto fallimento da parte della comunità internazionale (...), crediamo fortemente che noi tutti, come cittadini del mondo, abbiamo l'obbligo morale di intervenire". In definitiva, la missione della flottiglia, visti i buoni precedenti – il Movimento, negli ultimi due anni, già "è salpato da Cipro per la Striscia di Gaza diverse volte con successo" – mirava a "stabilire una linea di contatto permanente via mare tra Cipro e Gaza", garantendo (...) 

Giuseppe D'Elia