giovedì 1 luglio 2010

Berlusconismo gramsciano? La Gelmini punta all'egemonia culturale


Le recenti dichiarazioni del ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, sul berlusconismo come nuovo modello culturale nazionale, hanno suscitato non poche perplessità, in Rete. Soprattutto per il ruolo che le è proprio. L'intento di far “affermare una cultura di centrodestra anche nella scuola e nell’università”, infatti, quando viene proclamato proprio da chi sta effettivamente mettendo mano a queste preziosissime istituzioni, assume un peso che, poi, difficilmente potrà essere negato o sminuito.
Del resto, la neonata fondazione Liberamente, nelle parole del ministro che più hanno fatto scalpore, ha una missione ben precisa: “proporre il berlusconismo” come “una conquista del Paese che vogliamo difendere (...) anche in un ambito culturale in cui vige l’egemonia della sinistra, che pensa che il centrodestra sia privo di identità culturale”. Il berlusconismo, insomma, “non è qualcosa da mettere tra parentesi, come vorrebbe la sinistra che propaga la sua retorica del pessimismo”. Anzi: “proprio perché è un momento di crisi e di difficoltà non si può diffondere sfiducia ma è necessario puntare sull’ottimismo della volontà”.
Ora, per quanto non si possa certo parlare di un revival della fascistizzazione della scuola, non vanno nemmeno taciuti i segnali che destano preoccupazione. Su tutti, valga la presa di posizione dell'Anpi rispetto alla scelta ministeriale di proporre per la maturità di quest'anno un tema storico-politico che legittima il duce del fascismo, nel suo assumersi in Parlamento la responsabilità del delitto Matteotti, mettendo questo discorso sullo stesso piano di quelli di un papa e di due leader politici dell'Italia repubblicana.
Ma ancor più singolare è l'uso (consapevole?) del lessico gramsciano in chiave neo-conservatrice. Ciò che soltanto l'improvvida furia iconoclasta del PD ha reso possibile, laddove solo si consideri che "pessimismo dell'intelligenza, ottimismo della volontà" era il motto che Gramsci definiva “la parola d'ordine di ogni comunista”. 

Giuseppe D'Elia