venerdì 22 luglio 2011

"Genova, le lacrime di luglio", dieci anni dopo /4


(segue) La caserma di Bolzaneto, poi, è il luogo simbolico in cui la tesi della reazione concitata e della occasionale perdita di controllo dei singoli agenti, davvero appare poco verosimile. Bolzaneto era il luogo di detenzione (per accertamenti) dei fermati. Cosa è successo a Bolzaneto? «Li hanno picchiati, da quando sono usciti dai cellulari a dentro le stanze della caserma» (14), stando alla testimonianza di due agenti di polizia penitenziaria presenti in loco: una delle diverse risultanze processuali che porteranno alla condanna di una parte – quindici su quarantaquattro – di quegli «ufficiali, guardie carcerarie e medici imputati di aver sottoposto a sevizie più di duecento no global» (15).
«L’esame delle parti offese si è svolto per tutto il 2006 (...). Dalle testimonianze sono emersi sempre più chiaramente alcuni dettagli: il benvenuto che veniva riservato ai fermati dal cosiddetto 'comitato d'accoglienza' (decine e decine di agenti che insultavano e picchiavano gli arrestati all'arrivo a Bolzaneto), le due ali di agenti schierati ai lati del corridoio, che prendevano a calci, schiaffi e pugni le persone costrette a passarvi in mezzo, facendo sgambetti per potersi accanire su chi cadeva a terra. I fermati e gli arrestati in cella, compresi i feriti, erano costretti a tenere le braccia alzate appoggiate al muro, il volto rivolto alla parete e le gambe divaricate: dopo molte ore tale posizione creava forti dolori e crampi, ma chi tentava di spostarsi veniva picchiato dagli agenti a guardia delle celle (...). In infermeria le persone dovevano spogliarsi completamente e fare flessioni davanti a numerosi agenti. Venivano prestate ai feriti cure insufficienti, alcuni hanno subito qui ulteriori violenze da parte degli agenti addetti alle perquisizioni. Nelle celle è stato spruzzato più volte gas urticante, spesso direttamente negli occhi degli arrestati (...). Anche chi chiedeva l’accompagnamento ai bagni ha subito umiliazioni di ogni tipo: spesso fatti attendere molte ore, alcuni non hanno potuto trattenere le deiezioni – e non gli è poi stato consentito di lavarsi; dovevano espletare i propri bisogni con la porta aperta, sottoposti allo scherno dei presenti; soprattutto le donne hanno subito minacce di violenza sessuale, e altre umiliazioni, come il rifiuto degli assorbenti igienici a chi aveva le mestruazioni. (...) Inoltre, non vennero per due giorni distribuiti generi alimentari, acqua o presidi sanitari (come, appunto, gli assorbenti igienici) (...), se non qualche biscotto e panino la domenica (14)».
E su quest'altra deplorevole vicenda non è proprio il caso di soffermarsi oltre, visto che le condotte illecite sono state accertate in giudizio e i fatti sono di assoluta gravità.

A Genova, infine, venne ucciso un ragazzo: Carlo Giuliani. Volutamente si è scelto di parlarne in conclusione di discorso. Perché? Perché quanto esposto nelle righe precedenti mostra chiaramente la volgarità di quella strumentalizzazione mediatica secondo la quale, banalmente, Carlo è morto mentre aggrediva dei carabinieri, indossando un passamontagna, con in mano un estintore che brandiva come fosse un'arma da lancio: insomma, secondo la vulgata propagandistica di questo decennio, Carlo, in fondo, dieci anni fa, è morto (anche) perché se l'è cercata! Solo che poi se uno ascolta il racconto del padre di Carlo, racconto corredato di diverse immagini e tutt'ora reperibile in Rete (16), scopre innanzi tutto che non c'è stato un assalto di alcuni scalmanati a una pattuglia isolata di carabinieri, ma una carica insensata a un corteo autorizzato, messa in atto da una pattuglia proveniente da una traversa laterale rispetto al percorso del corteo: e che è stata quella carica, partita da via Caffa, a innescare gli scontri di Piazza Alimonda (17). Si scopre, in sostanza, che non tutti i manifestanti hanno accettato di subire passivamente la repressione violenta condotta con metodi illegali, ma che alcuni hanno anche reagito. E se la reazione a una condotta illegale non è automaticamente lecita (può anche esserlo, ma va comunque dimostrato), ciò non toglie che nessun illecito può mai giustificare una sorta di esecuzione sommaria. Insomma: quand'anche fosse vero che di fronte alla minaccia dell'estintore, il carabiniere ha estratto la pistola e ha sparato (ma le immagini mostrano una diversa realtà, in cui prima c'era il carabiniere con la pistola puntata e poi c'è Carlo che solleva da terra quel famoso estintore...), resta sempre da dimostrare che quella condotta difensiva fosse lecita.

Qui allora va detto, conclusivamente, che:
«Il procedimento per l'omicidio di Carlo Giuliani è stato così archiviato il 5 maggio 2003 dal GIP Elena Daloiso, che ha accolto non solo la richiesta di archiviazione formulata dal PM Silvio Franz per legittima difesa, ma anche per "uso legittimo delle armi in manifestazione". Secondo la tesi del PM il proiettile che uccise Carlo Giuliani fu deviato da un sasso e, in ogni caso, il carabiniere Placanica sparò per legittima difesa. Non è stato tenuto in nessun conto la ricostruzione dei periti di parte offesa che avevano dimostrato, incrociando le immagini relative al lancio del sasso con i rumori dello sparo, l'impossibilità fisica della ricostruzione proposta dal PM».
E sul punto, chi non fa l'esperto di balistica, con un po' di sano scetticismo, fondato sul metodo scientifico e sul calcolo delle probabilità, di fronte al contrasto tra periti, non può non chiedersi quale fatalità può aver mai consentito – coerentemente col risultato della perizia accolta dal GIP – a due corpi di massa e sostanza differente, che viaggiano, con diversa velocità, su due traiettorie autonome, di convergere nello stesso istante, in uno stesso punto dello spazio, producendo una deviazione del corpo metallico (la pallottola) tale da far sì che questa vada a colpire lo sventurato Carlo Giuliani, uccidendolo.

Perché anche questo è accaduto a Genova dieci anni fa: convergenze fisiche tanto letali, quanto improbabili.

Giuseppe D'Elia


«Indomita Genova, le lacrime di luglio. 
Infondere paura come forma di controllo». 

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(14) http://www.processig8.org/Bolzaneto.html

(15) http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/processi/bolzaneto.php

(16) http://www.youtube.com/watch?v=BhnmKr-YOGY

(17) http://www.processig8.org/Alimonda.html

giovedì 21 luglio 2011

"Genova, le lacrime di luglio", dieci anni dopo /3


(segue) Con l'aiuto del web, è possibile allora provare a ricostruire, per sommi capi, l'insieme di violazioni di legge, avvenute a Genova nel luglio del 2001. Violazioni di legge messe in atto proprio da chi più di tutti la legge dovrebbe rispettarla: con il che, sarebbe bene che, finalmente, si convenisse tutti sul punto che violare la legge, indossando una divisa, è un'aggravante e non una esimente.

A Genova, dieci anni fa, le cariche delle forze dell'ordine si trasformarono in una inspiegabile caccia all'uomo, con annessi pestaggi, talvolta anche a danno di persone che giacevano a terra inermi (6): si arrivò addirittura all'uso dei blindati per una nuova (criminale) forma di carica, del tutto sui generis (7). Fu aggredito persino chi semplicemente si trovò proverbialmente nel posto sbagliato, al momento sbagliato (8): è il caso di Marco Mattana, allora minorenne, «pestato a sangue» senza che «vi fu nessuna provocazione nei confronti degli agenti». Di Mattana qualcuno ricorderà il volto tumefatto e rabbioso (9) anche se, forse, è «l'immagine del vicecapo della Digos Alessandro Perugini che rifila un calcio in faccia al ragazzo» (10), quella che meglio riesce a descrivere la follia di quei giorni.

Follia dovuta solamente alla concitazione degli scontri di strada? Tesi che non regge, dato che le violenze registrate in strada furono solo una parte della complessiva opera di violenta repressione del dissenso che si registrò in quei giorni.
«(...) la notte del 21 luglio 2001 attorno alle 23.30, il primo reparto mobile di Roma, in tenuta antisommossa, comandato da Vincenzo Canterini, fa irruzione nelle scuole Diaz e Pascoli, (la prima utilizzata dai manifestanti come dormitorio, la seconda come centro stampa), per effettuare una perquisizione (...). Tutte le persone ospitate all'interno della scuola vengono tratte in arresto con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale e associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e saccheggio e detenzione di bottiglie molotov. (...) Per quanto riguarda le armi e gli oggetti da difesa: il bottino recuperato dalle forze dell'ordine era fatto di coltellini svizzeri, macchine fotografiche, libri, fazzoletti di carta, assorbenti interni, maschere antigas e un piccone; successivamente si venne a sapere che il piccone era stato raccolto dal cantiere aperto presente all'interno della scuola. Per quanto riguarda le bottiglie Molotov (...) le indagini successive hanno rivelato una verità differente (...) che quelle bottiglie sono state in realtà ritrovate (...) in un cespuglio sul lungomare di Corso Italia nel pomeriggio del giorno precedente. Il 12 maggio 2003 il GIP Anna Ivaldi dispone l'archiviazione delle indagini contro i manifestanti per il reato di resistenza, con un'ordinanza di archiviazione in cui si afferma che "non può affermarsi, neppure con un minimo grado di certezza, che coloro che si trovavano nella Diaz e che vennero poi arrestati abbiano lanciato oggetti sulle forze di polizia"... Deve poi escludersi essi abbiano posto in essere atti di resistenza nei confronti del personale di polizia, una volta che questo riuscì ad accedere all'interno della Diaz"... (11)».
Un'operazione notturna, con numerosi illeciti, dunque. Una operazione di una violenza inaudita, come testimoniato da Michelangelo Fournier, «all'epoca vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma» (12). Dopo aver inizialmente taciuto «per senso di appartenenza al corpo», la scena descritta da Fournier, nei colloqui coi magistrati, è la seguente:
«Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana».
L'ennesima conferma di quanto fossero fondate le denunce di Amnesty International che, fin da subito, aveva registrato segnalazioni di numerose violazioni dei diritti umani, perpetrate dalle forze dell'ordine, nei giorni del G8, a danno dei manifestanti (13).


Giuseppe D'Elia


«Indomita Genova, le lacrime di luglio. 
Infondere paura come forma di controllo». 

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(6) http://www.youtube.com/watch?v=lp1G1fZpibk

(7) http://www.youtube.com/watch?v=Xh8Uf79fW8Y

(8) http://www.veritagiustizia.it/old_rassegna_stampa/locchio_del_ragazzo_del_g8.php

(9) http://www.blitzquotidiano.it/cronaca-italia/g8-condannato-alessandro-perugini-vice-capo-della-digos-di-genova-145161/

(10) http://www.ecn.org/agp/g8genova/indexpics20.htm

(11) http://www.piazzacarlogiuliani.org/carlo/processi/diaz.php

(12) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=70956

(13) http://www.youtube.com/watch?v=bK58QeERLx0

mercoledì 20 luglio 2011

"Genova, le lacrime di luglio", dieci anni dopo /2


(segue) Tanti, troppi, errori, di tanti, troppi, singoli, che anche molto recentemente, purtroppo, si sono rivisti in quel di Chiomonte, in occasione delle proteste di questo inizio luglio dei No-Tav. Pestaggi, cacce all'uomo, cariche con mezzi meccanici, lacrimogeni sparati direttamente addosso ai manifestanti: il video in cui è lo stesso operatore a essere colpito da uno di questi lacrimogeni, mentre riprendeva i lanci non conformi ai regolamenti è emblematico di un modus operandi inaccettabile in un qualunque Paese libero e minimamente civile (4).

Dunque, quello che è successo a Genova dieci anni fa è molto importante anche (soprattutto?) per capire fino a che punto la repressione violenta ed illegale del dissenso è realmente soltanto il frutto di una serie di condotte illecite di singoli agenti. Per valutare bene, cioè, se è possibile e ragionevole escludere, al di là di ogni lecito dubbio, che si possa invece prendere in considerazione l'ipotesi opposta di un vero e proprio pianificato disegno repressivo.

E, per questo tipo di riflessione, fondamentale, già dieci anni or sono e ancora oggi, è stato ed è l'apporto del web. Una Rete di preziose informazioni che ha fatto (e che fa) da contrappunto al coro giustificazionista dei media tradizionali. Con le notevoli eccezioni di singole rispettabilissime voci che non si sono uniformate (5), le TV e la grande stampa infatti partivano (e partono) sempre dal presupposto che la legalità sia una sorta di prodotto delle divise. L'equazione “uomo in divisa = buono”, con annessa adesione acritica alle versioni dei fatti fornite dalle questure, anche quando queste versioni dei fatti risultano smentite da immagini, testimonianze e accertamenti della magistratura: l'esatto contrario di ciò che dovrebbe fare chi si propone di fornire un'informazione completa alla cittadinanza. Un'informazione che sia al servizio della verità fattuale per come emerge, man mano che le notizie si rendono disponibili. Un'informazione, insomma, che non faccia da megafono agli apparati di potere, veicolando surrettiziamente la barbara idea che il rispetto delle garanzie e delle libertà di ogni cittadino spetti solo ed esclusivamente al manifestante diligente.

Sciocchezze, da propaganda di regime, perché – giova ripeterlo – la diligenza del manifestante non si valuta in piazza, con eventuale applicazione di rimedi da giustizia sommaria: nei moderni Stati di diritto, chi è accusato di condotte illecite viene fermato, identificato, processato e, se condannato, allora scatta la sanzione. Sanzione, che non sarà mai un pestaggio, così come non potrà mai essere la pena capitale, tra l'altro.


Giuseppe D'Elia


«Indomita Genova, le lacrime di luglio. 
Infondere paura come forma di controllo». 


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(4) Giusto alcuni spunti: a) http://friendfeed.com/seideegiapulp/0088a5a3/rendiamoci-conto-youtube-val-susa-poliziotto | b) http://friendfeed.com/seideegiapulp/9b259e05/l-illegalita-occultata-dal-coro-mediatico | c) http://www.carmillaonline.com/archives/2011/07/003968.html

(5) http://www.youtube.com/watch?v=c9I_tHhRUWE

martedì 19 luglio 2011

"Genova, le lacrime di luglio", dieci anni dopo /1


Cos'è successo esattamente a Genova dieci anni fa? E, soprattutto, perché è così importante che se ne parli ancora? O, meglio, perché lo è (1) per quasi tutti quelli che sono stati direttamente o indirettamente coinvolti nel social forum del 2001, organizzato in concomitanza col G8?

Senza avere la pretesa di arrivare a conclusioni definitive, chi scrive, crede che ci siano alcuni punti fermi – tra l'altro, vedremo, di stretta attualità – sui quali oggi è semplicemente doveroso continuare a riflettere, affinché quella storia (davvero una gran brutta storia) non abbia mai più a ripetersi.

A Genova, dieci anni fa, c'erano migliaia di persone che, liberamente e legittimamente, protestavano contro la follia di una politica sottomessa agli interessi del grande capitale finanziario.
«Quel movimento diceva – e ancora oggi dice – che la religione del mercato senza regole avrebbe portato al mondo più ingiustizie, più sfruttamento, più guerre, più violenza. Che avrebbe distrutto la natura, messo a rischio la possibilità di convivenza e persino la vita nel pianeta. Che non ci sarebbe stata più ricchezza per tutti ma, piuttosto, nuovi muri, fisici e culturali, tra i nord ed i sud del mondo. Non la pacificazione, conseguenza della “fine della storia”, ma lo “scontro di civiltà”. (…) Oggi, le ragioni di allora sono ancora più evidenti. Una minoranza di avidi privilegiati pare aver dichiarato una guerra totale al resto dell’umanità e all’intera madre Terra. Dopo aver creato una crisi mondiale mai vista cercano ancora di approfittarne, rapinando a più non posso le ultime risorse naturali disponibili e distruggendo i diritti e le garanzie sociali messe a protezione del resto dell’umanità in due secoli di lotte» (2).
Nel merito, dunque, le ragioni della protesta erano tutt'altro che infondate.

E se il merito è in ogni caso indiscutibile – dato che, in un Paese libero, «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero» (3) –, tutt'al più lo Stato può riservarsi di intervenire, qualora i metodi della protesta entrassero in conflitto con altri beni protetti dallo stesso (la sicurezza individuale, la proprietà privata, etc.).

In un Paese libero, insomma, lo Stato può senz'altro sanzionare eventuali condotte illecite dei manifestanti, ma questo dovrà esser fatto esclusivamente a seguito di un giusto processo (cioè quando le condotte illecite saranno state accertate e comprovate).

Dieci anni fa, invece, nel nostro Paese successe questo:
«(...) per aver detto solo la verità, venimmo repressi in maniera brutale e spietata. La città di Genova fu violentata fisicamente e moralmente. Le regole di una democrazia, che sempre prevede la possibilità del dissenso e della protesta, vennero sospese e calpestate. Un ragazzo fu ucciso. Migliaia vennero percossi, feriti, arrestati, torturati. Eravamo le vittime, ma per anni hanno tentato di farci passare per i colpevoli» (2).
E la repressione violenta del dissenso fu registrata in talmente tanti episodi e su un periodo di tempo così lungo, da rendere davvero poco credibile la tesi che fosse tutto e solo frutto dell'errore del singolo. Di tanti, troppi, singoli, in verità.

Giuseppe D'Elia


«Indomita Genova, le lacrime di luglio. 
Infondere paura come forma di controllo». 
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(1) http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2011/06/23/genova_g8_io_ricordo.html

(2) http://genova2011.wordpress.com/

(3) Art 21 Cost. --> http://www.quirinale.it/qrnw/statico/costituzione/costituzione.htm

Un nuovo inizio. Ripartendo dal G8 di Genova

Da oggi, possiamo riprendere ad aggiornare periodicamente anche questo blog.

Partiremo, commemorando il decennale del G8 di Genova.

Quattro uscite, per ora.

All'insegna del giornalismo Indiependente.

Seguirà, in giornata, la prima delle quattro uscite.

Buona lettura.

G.