lunedì 26 marzo 2012

GOVERNO TECNICO E MESSA TRA PARENTESI DI BERLUSCONI: COSTITUENTE ARISTOCRATICA VS. DEMOCRAZIA POPOLARE /1


Una volta trascorsi i fatidici cento (e passa) giorni di governo tecnico, tracciare un primo bilancio dell’operato dell’esecutivo Monti, da un punto di vista rigorosamente indipendente, ci pare doveroso.

Va detto subito che la tendenza all’agiografia di Mario Monti, quotidianamente veicolata a media pressoché unificati, ormai, risulta davvero imbarazzante.

Un recente editoriale domenicale di un gran maestro del giornalismo italiano, quale Eugenio Scalfari (1), è efficacissimo nel dare una immediata testimonianza della narrazione dell’epopea montiana e dei suoi tratti smaccatamente propagandistici:
«Tre mesi fa eravamo sul ciglio di un baratro, la credibilità del nostro Paese era scesa sotto il livello dello zero, dalla finanza e dalla tenuta del debito pubblico emergevano sinistri scricchiolii; la recessione dell’economia reale era già evidente e così pure il malessere sociale dei ceti più deboli, delle famiglie e del Mezzogiorno. Il Nord dal canto suo aveva cessato da tempo di “tirare” ed anzi avvertiva un disagio sociale crescente.
Questa era la situazione fino al novembre del 2011 e questo spiega il sollievo e il plauso pressoché unanime con cui fu accolta la decisione di Napolitano di dare a Monti la responsabilità di salvare l’Italia da un avvitamento irreversibile incombente.
L’operazione è riuscita per metà. In cento giorni. Piacerebbe chiedere ai tanti critici che ora sbucano a destra a manca in quali altre occasioni nella storia del nostro Paese situazioni di analoga gravità sono state contenute e avviate a soluzione in così breve lasso di tempo.
Io non ne ricordo altre. Si può a giusto titolo rievocare quella compiuta dal governo Ciampi nel 1993, con una differenza però tutt’altro che trascurabile: la grave crisi di allora era soltanto italiana; quella di oggi è mondiale ed è in corso da quattro anni.
Ciampi compì il miracolo in un anno con un governo che, per nascita e composizione, somiglia molto da vicino a quello attuale. Fu anche quello ― come i critici di oggi ripetono ossessivamente parlando dei tecnici ― un sequestro della democrazia?
Il governo Ciampi scrisse la parola fine alla partitocrazia e alla corruttela pubblica che l’aveva accompagnata. Il governo Monti ha messo la parola fine al populismo dell’era berlusconiana. Ma ― lo ripeto ― ci troviamo oggi al centro della più grave crisi economica e politica degli ultimi cent’anni. L’Italia è stata fino a un mese fa al centro di questa crisi perché le dimensioni del nostro debito pubblico sono tali che un suo “default” avrebbe fatto saltare in aria l’euro e quindi l’intera Europa creando un terremoto di dimensioni planetarie.
In cento giorni siamo usciti da questa situazione ma non per questo la crisi è conclusa. Siamo nel bel mezzo di una recessione che durerà almeno un anno. La crescita è indispensabile».
Le inesattezze presenti in queste righe sono diverse e tutte molto significative. Nostra intenzione e appunto quella di provare a farle emergere, in modo tale da far sì che il lettore abbia poi gli strumenti per essere in grado di comprendere meglio quello che sta accadendo, in questo momento storico, nel Paese. Un’operazione politica da gattopardi: cambiare tutto affinché nulla realmente cambi negli assetti di potere costituiti. A cominciare da quelli, intoccabili, del premier uscente. Come è ormai chiaro, infatti, l’azione del cosiddetto governo tecnico ha dei confini invalicabili: quelli fissati dal gruppo di potere berlusconiano che, in parlamento, sostiene e sosterrà il governo Monti solo in quelli iniziative politiche che sono in linea con i propri particolari interessi.

Sul punto, Giuseppe Giulietti è stato lapidario, ad esempio, nel sostanziare e motivare le richieste e le esigenze berlusconiane in materia di riforma televisiva (2):
«Sul tavolo della richieste Berlusconi e soci hanno messo la concessione gratuita delle frequenze digitali, e la nomina di un presidente della Autorità di garanzia delle comunicazioni che “garantisca” la conservazione degli attuali equilibri e non si metta in testa di stimolare liberalizzazioni e concorrenza».
Ma, evidentemente, questo è uno dei tanti aspetti che gli agiografi del governo Monti sottovalutano o volutamente ignorano.

Dunque un primo elemento da tenere bene a mente è questo: ha senso ritenere che un governo presieduto da Berlusconi avrebbe inesorabilmente condotto il Paese al tracollo economico, mentre un governo presieduto da uno stimato economista, ma comunque condizionato nella sua azione politica dalla componente parlamentare berlusconiana, rappresenti “senza se” e “senza ma” una invidiabile macchina di efficienza e risanamento pubblico?

In altre parole: può mai essere sufficiente la mera messa tra parentesi di Berlusconi a giustificare una così cieca e diffusa fiducia nell’azione del nuovo esecutivo?

Logica e buon senso imporrebbero dunque di evitare le professioni di fede e di vagliare invece attentamente il contenuto politico delle iniziative messe in atto dai sedicenti tecnici per agevolare l’uscita dalla crisi.

E, prima ancora, impongono di analizzare a fondo le due questioni critiche: il cosiddetto “rischio default” e la già riscontrata recessione economica.

Qui emergono le prime inesattezze nella ricostruzione del coro mediatico ― di cui Scalfari si fa perfetto interprete ― che descrive Monti come l’eroico salvatore di un paese innegabilmente sull’orlo del baratro, perché è proprio sull’innegabilità di un “rischio” fallimento che improvvisamente diventa stato di fatto (“un avvitamento irreversibile incombente”) che invece ci sarebbe parecchio da discutere, mentre ― come vedremo meglio in seguito ― la recessione è un dato che viene addirittura acuito dall’operato del governo Monti.

Considerando che il Giappone, nonostante l’impatto terribile che ha avuto sull’economia di quel paese la devastazione (questa sì!) naturale del terremoto dello scorso anno con l’annesso tsunami e la conseguente tragedia nucleare di Fukushima, non va in default (3), pur avendo un rapporto tra PIL e debito pubblico che va ben al di là di quello italiano (4), così tanto criminalizzato, è lecito avanzare qualche perplessità sulla lettura dominante, che pare avvalorare l’idea che sia il debito pubblico in quanto tale la causa del fallimento teorizzato?

Se il Giappone ― che ha un PIL che è più del doppio di quello italiano ed è pur sempre la terza economia del pianeta ― non è ancora fallito, ne è sottoposto alle stesse pressioni speculative che hanno fatto sì che l’Italia arrivasse a pagare rendimenti altissimi sui titoli di debito collocati sul mercato nei mesi scorsi (5), ciò non dipenderà, forse, anche dalla circostanza che il gigantesco debito pubblico nipponico è detenuto in larga misura dagli stessi risparmiatori giapponesi?

E allora siamo sicuri che l’Italia di fine 2011, ovvero l’ottava economia del globo (6), sia stata realmente a rischio di immediato fallimento? E che senza l’azione ‘salvifica’ dell’esecutivo Monti ciò sarebbe inevitabilmente accaduto e potrebbe ancora accadere, se ― come sembra sostenere Scalfari ― ci si azzardasse a ripristinare una normale dialettica politica tra opposti schieramenti?

Vale la pena a questo punto di soffermarsi a riflettere bene sulla questione del famigerato spread.

Questo indicatore numerico ― che, come tutti ormai hanno compreso, è bene che non esprima valori particolarmente elevati ― definisce una misura. Ma cosa misura esattamente questo spread? Si tratta in estrema sintesi della differenza tra i rendimenti di due titoli di debito pubblico, il BTP italiano e il Bund tedesco (7): quanto più è alta questa differenza, tanto più sarà alto il rendimento che lo Stato italiano dovrà offrire ai suoi creditori per piazzare sul mercato i propri titoli di debito. Perché è un bene che questo valore resti basso lo si può comprendere immediatamente con un esempio: se l’Italia deve pagare 100 miliardi di titoli in scadenza e per adempiere all’obbligazione mette sul mercato 100 miliardi di nuovi titoli di debito, il nuovo debito sarà tanto più alto quanto più sarà alto il rendimento che i nuovi creditori pretenderanno per acquistare i titoli di recente emissione. In concreto, con un rendimento al 7%, pari a quello del periodo di maggiore crescita dello spread, il debito pubblico italiano crescerebbe di 7 miliardi per ogni cento miliardi di debito pubblico da ricollocare. Questo significa che se il debito pubblico italiano fosse andato interamente a scadenza nel periodo di massimo incremento dello spread, sarebbe balzato dai circa 1900 miliardi da ultimo certificati a oltre 2000 miliardi: il che significa, a PIL costante, anche un peggioramento del rapporto tra PIL e debito pubblico. Tuttavia, abbiamo già visto come il caso giapponese testimoni chiaramente che né un alto debito pubblico, né un alto rapporto tra PIL e debito pubblico significhino automaticamente e inevitabilmente che quella economia nazionale sia destinata al fallimento. Abbiamo anche sottolineato che ci sono due indicatori che mettono al riparo da questo rischio: la ricchezza complessiva del paese e la collocazione nazionale (e non estera) dei titoli di debito. Il Giappone non fallisce, insomma, perché è una delle prime tre economie del pianeta e perché ha collocato presso i propri cittadini la gran parte dei titoli di debito emessi.

L’Italia, ottava economia mondiale, sul finire del 2011, diventa invece improvvisamente uno Stato “sul ciglio di un baratro”, per poi salvarsi ‘miracolosamente’ nel giro di pochi mesi, anche se forse non è ancora detto che sia davvero salva… Ancora non sono sufficientemente evidenti le contraddizioni di questa costruzione mediatica del terribile pericolo da scongiurare ‘sospendendo’ la democrazia?

Va detto, allora, che c’è un terzo indicatore che rende meno concreto il rischio fallimento dello Stato: una buona durata media del debito. Si capisce subito, infatti, che se il debito non ha scadenza immediata lo Stato ha un margine di manovra più ampio, per evitare il cosiddetto default. Qui, sia a giugno 2010 (8) che a distanza di un anno (9), abbiamo testimonianza di un dato sulla durata media, settennale (10), del debito pubblico italiano che dovrebbe mettere il nostro Paese in una posizione di relativa tranquillità.
In particolare, poi, da questo grafico (11) emerge anche un altro dato spesso taciuto sulla questione: più della metà del debito pubblico italiano resta in Italia; ciò che rende ancora più assurda la storiella del neonato italiano che nascerebbe già molto indebitato a causa dell’enorme debito pubblico nazionale, essendo evidente, invece, che se si tratta del figlio di uno dei possessori dei titoli, in realtà, egli potenzialmente ‘eredita’ subito un credito da riscuotere e non un debito.

Dunque, sebbene i fondamentali economici non giustificavano una previsione di fallimento fino a tutta l’estate del 2011, d’un tratto il Paese si viene a trovare “sul ciglio di un baratro”.

Perché? Forse perché come sostiene il prof. Arrigo in uno degli articoli citati poc’anzi, si tratta più di una questione psicologica che tecnica?

Per cui:
«se i mercati internazionali percepiscono un Paese come pericoloso, lo fanno diventare pericoloso per davvero. Sono profezie che si autoavverano. Se pensano che alla scadenza dei titoli ci sarà incapacità da parte dello Stato a rimborsarli, perché non ci saranno abbastanza sottoscrittori disposti a comprarne di nuovi, si diffonde il panico. E le variabili per la valutazione sono abbastanza eterogenee».
In questo caso, bisognerebbe concludere che se nel giro di pochi mesi l’Italia può improvvisamente diventare Paese a rischio fallimento, per poi rapidamente normalizzarsi, ciò dovrebbe spiegarsi con la circostanza che la personalità del grande economista Mario Monti, da sola, risulterebbe in grado di placare quelli che Keynes non a caso definiva come “animal spirits” del libero mercato.

Ma può soddisfarci una lettura del genere degli eventi di questi mesi?

Spulciando meglio tra le fonti, si scopre che forse una spiegazione meno emotiva al repentino calo dello spread c’è: e non c’entra tanto l’azione politica o il carisma di Monti, quanto piuttosto le due massicce iniezioni di liquidità effettuate dalla Bce a dicembre 2011 e nel febbraio ultimo scorso (12).

Un recente redazionale de Il Fatto Quotidiano ci pare abbastanza esplicito, in proposito:
«i due maxi-prestiti a tre anni sborsati dalla Bce a dicembre e febbraio sono stati decisi “a fronte di circostanze straordinarie nell’ultimo trimestre del 2011” e “potrebbero aver contribuito a contenere gli effetti di contagio della crisi del debito sovrano”, oltre ad aver avuto effetti positivi sul mercato bancario. In Italia la fiducia dei consumatori “si è gradualmente indebolita per riportarsi su livelli analoghi a quelli osservati durante la recessione del 2008–2009”, e siamo il paese che nell’Eurozona ha registrato il maggiore calo dello spread tra i propri titoli di Stato e i Bund tedeschi. Una flessione pari a 166 punti avvenuta “nonostante il declassamento da parte delle tre principali agenzie di rating” (13)».
A questo punto ci sembra chiaro ed evidente che, in assenza di fondamentali economici tali da giustificare oggettivamente e innegabilmente un rischio fallimento dell’Italia, in questi mesi noi abbiamo assistito a una grossa operazione speculativa, bloccata infine dall’intervento ‘salvifico’ della Bce.

Va detto che, per statuto, la Bce non può intervenire quale prestatore di ultima istanza, acquistando direttamente i titoli che il mercato non reputa sufficientemente affidabili e che, secondo alcuni, è proprio questo aspetto (14) che espone le singole economie nazionali dell’area euro ad attacchi speculativi come quello subito dal nostro Paese. Dunque l’intervento calmierante della Bce si realizza, come abbiamo visto, indirettamente e, da quel che si capisce, esigendo contropartite politiche ai singoli Stati che più beneficeranno di queste operazioni. In altre parole, Monti più che il salvatore della Patria verrebbe così a rappresentare una sorta di esecutore materiale del mandato politico richiesto dalla Bce per agevolare ― col suo intervento indiretto, atto a stoppare la speculazione ― la sostanziale tenuta dei conti pubblici nazionali.

Stando così le cose, si dovrebbe quindi comprendere meglio anche quanto sia sballato il parallelo fatto da Scalfari col governo Ciampi e quanto sia fuori luogo il suo sarcasmo sulle preoccupazioni di chi descrive l’attuale fase politica come una sorta di “sequestro della democrazia”.

Non solo è del tutto fuori dalla realtà il voler far coincidere la fine della prima repubblica con la fine della “corruttela pubblica che l’aveva accompagnata” ― e qui se non bastano i tanti episodi quotidiani di cronaca, da Lusi (15) alla giunta della efficientissima Lombardia (16), dovrebbero essere più che sufficienti i 60 miliardi di euro annui che la Corte dei conti stima come maggiori costi della spesa pubblica nazionale, dovuti appunto a dinamiche e pratiche corruttive (17) ― e l’attribuire all’avvento di Monti la fine di quel berlusconismo che, invece, abbiamo visto essersi limitato, in realtà, soltanto ad agire da dietro le quinte, ma c’è proprio una divaricazione netta, sul piano storico, tra i due fenomeni.

Ciampi è stato di fatto un traghettatore: ha assolto il suo breve compito a guida dell’esecutivo, con un piglio da uomo delle istituzioni che non a caso gli è valso poi la candidatura e l’elezione a Capo dello Stato.

Monti, invece, ha assunto (e sempre più sta assumendo) un ruolo che è palesemente politico. Che lo svolga come garante del rigore accademico liberista nei confronti dei mercati (con conseguente preservazione dello status quo e dei rapporti di potere economico consolidati) o come mandatario della Bce, poco cambia: politico è il suo ruolo e politica resta la sua iniziativa.
Iniziativa politica che, come detto, non rimane peraltro nemmeno circoscritta alla fase emergenziale, ma che si prefigura, anzi, come potenzialmente estendibile anche al di là della fine della legislatura in corso.

Va dunque analizzato attentamente ― lo ripetiamo ancora una volta ― il contenuto dell’azione politica dell’esecutivo Monti. Perché se non si riesce a comprendere a fondo in che direzione procede la politica di questo governo, difficilmente si potrà capire il senso della netta alternativa tra restaurazione aristocratica e democrazia popolare, che si sta profilando, con la messa tra parentesi di Berlusconi e la perpetuazione del berlusconismo sotto altre forme.

(continua)

Giuseppe D'Elia

per L'Indiependente.it

«È vero che, formalmente, 
il parlamentarismo deve servire ad esprimere 
nell'organizzazione statale 
gli interessi di tutta la società. 
Ma d'altro lato 
esso è un'espressione soltanto della società capitalistica, 
cioè di una società 
nella quale sono preponderanti 
gli interessi capitalistici. 
Le istituzioni formalmente democratiche 
diventano con ciò sostanzialmente 
strumenti degli interessi della classe dominante. 
E questo si palesa in modo evidente 
nel fatto che, 
non appena la democrazia 
tende a smentire il suo carattere classista 
ed a trasformarsi 
in uno strumento dei reali interessi del popolo, 
le stesse forme democratiche 
vengono sacrificate 
dalla borghesia 
e dalla sua rappresentanza statale».

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(1) http://www.repubblica.it/politica/2012/03/11/news/scalfari_cento_giorni-31332436/?ref=HREC1-5

(2) http://www.blitzquotidiano.it/opinioni/giuseppe-giulietti-opinioni/berlusconi-lorenza-lei-frequenze-tv-mediaset-1151035/

(3) http://intermarketandmore.finanza.com/giappone-il-debito-pubblico-ora-diventa-un-problema-25886.html

(4) http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2008/10/debito-pubblico-mondiale-tabella.shtml

(5) http://www.repubblica.it/economia/2011/12/23/news/spread_borse-27111560/

(6) http://it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_stati_per_PIL_%28nominale%29

(7) http://economiaefinanza.blogosfere.it/2011/11/spread-btp-bund-che-cose-spiegazione-per-i-comuni-mortali.html

(8) http://intermarketandmore.finanza.com/analisi-sostenibilita-debito-pubblico-12076.html

(9) http://www.linkiesta.it/debito-l-economist-ci-salva-ecco-perche-l-italia-e-ok

(10) http://intermarketandmore.finanza.com/files/2010/05/vita-residua-debito-pubblico.gif

(11) http://intermarketandmore.finanza.com/files/2010/05/debito-pubblico-detenuto-estero-300x225.gif

(12) http://www.linkiesta.it/sorpresa-piu-che-monti-lo-spread-cala-grazie-draghi

(13) http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/15/stime-ribasso-nelleurozona-italia-cala-fiducia-consumatori/197463/

(14) http://www.ilpost.it/2011/11/19/prestatrice-di-ultima-istanza/

(15) http://www.youtube.com/watch?v=PQI1pun7yKw

(16) http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=162908

(17) http://www.polisblog.it/post/13975/corruzione-quanto-costa-ocse-corte-dei-conti