giovedì 8 dicembre 2011

LA CRISI ECONOMICA COME PRETESTO PER UNIRE PD E TERZO POLO /3

Una strategia suicida, 
vero e proprio trionfo del berlusconismo

(segue) Dopo aver verificato, numeri alla mano, perché l’ossessione centrista di parte del gruppo dirigente del Pd, da un punto di vista strategico, costituisce un suicidio politico, bisogna comprendere bene in che senso il perseguimento convinto di questo tipo di obiettivo finisca col rappresentare un vero e proprio trionfo del berlusconismo. Vanno, pertanto, brevemente accennati i tratti salienti di un fenomeno che, fin qui, abbiamo più volte nominato, senza però mai poi provare a darne una qualche minima definizione.

Ora che, finalmente, Silvio Berlusconi sembra essersi adagiato sul tratto discendente della sua parabola politica, insomma, è possibile dire una parola di chiarezza su questa sciagurata fase storica? L’uso violento dell’apparato mediatico che lui direttamente (nelle televisioni e negli altri media di famiglia) o indirettamente (nei media controllati grazie al suo potere di pressione politica o finanziaria) ha avuto modo di orientare, la propaganda ossessiva a base di slogan ad alto impatto emozionale, l’occultamento e il sovvertimento della realtà fattuale, sono tutti elementi che vogliamo provare a lasciarci definitivamente alle spalle, oppure no?

Le vicende che abbiamo fin qui descritto, purtroppo, danno un pessimo segnale in proposito: Berlusconi ha realizzato per anni le sue finalità prioritarie ― in estrema sintesi: la neutralizzazione delle inchieste giudiziarie che direttamente lo coinvolgevano; la salvaguardia del suo impero economico ― innescando nel suo elettorato dei meccanismi psicologici, per cui il voto al suo schieramento doveva apparire come qualcosa di ineluttabile, a prescindere poi da ogni verifica di merito sull’operato del suo governo. Il piatto forte delle sue campagne elettorali, in fondo, è sempre stato questo: “la paura di”. Se non volete “A”, dovete votare B. Laddove B. è stata la costante che ha dominato la scena politica italiana, per un ventennio (o giù di lì), mentre “A” era una variabile di comodo: la dittatura comunista; l’invasione islamica; il partito delle tasse (o anche quello “dell’invidia e dell’odio”); etc.

Ebbene: il partito veltroniano “a vocazione maggioritaria”, quello che ha provato a convincere l’ipotetico berlusconiano moderato a preferire la serietà del nuovo soggetto politico al proprio vecchio referente elettorale, non è un partito che a parole diceva di ripudiare l’antiberlusconismo e nei fatti, poi, attraverso la cosiddetta strategia del voto utile, cercava invece di costringere l’elettore di sinistra a continuare a votare “come ha sempre votato”, per evitare che poi vincesse nuovamente Berlusconi?

E, di fronte al fallimento di questa strategia basata sulla doppiezza e sulla mistificazione, il progetto ancor più smaccatamente centrista, denunciato dalla De Gregorio (l’idea di sfruttare la crisi economica per far digerire all’elettorato di sinistra un’eventuale accordo elettorale con gli ex alleati di Berlusconi: il cosiddetto Terzo Polo), non è una ulteriore applicazione di questo meccanismo psicologico?

Lo stesso governo Monti, di fatto, oggi, nasce grazie a una massiccia dose di propaganda mediatica di questo tipo: “se non vuoi che l’Italia fallisca devi accettare il cambio di governo senza passaggio elettorale”. ‘Qualcuno’ (23), addirittura, è arrivato a parlare espressamente di “sospensione della democrazia”. E qui il problema è che ― come già si è accennato in precedenza ― se è vero che la nostra è pur sempre una Repubblica parlamentare (e che dunque in caso di dimissioni del governo uscito vincitore dalle urne, il Presidente della Repubblica può sempre verificare se il Parlamento è disposto a dare la sua fiducia a un nuovo esecutivo), va anche detto che le modifiche significative prodotte dalla legge elettorale altrimenti nota come “Porcata” non consentono certo di avere un Parlamento che sia perfettamente rappresentativo delle diverse opzioni politiche presenti nel Paese; un parlamento, peraltro, in cui vi sono diversi esponenti che non brillano certo per autonomia politica e per dirittura morale.

Ma, ancor più che sul terreno delle pratiche politiche, è su quello dei contenuti programmatici che si può evidenziare chiaramente quanto il berlusconismo abbia condizionato e stia condizionando l’azione del Partito democratico.

Si pensi a quello che è il vero e proprio nervo scoperto di questa fase storica della politica italiana: le politiche del lavoro. Questo è il settore nel quale è più evidente che mai, quanto siano azzeccate le parole, scritte da Peppino Caldarola, in uno dei suo articoli più recenti (24):

«Il berlusconismo, ecco la conclusione, con la sua martellante campagna anticomunista, è riuscito a provocare il più gran rigetto culturale della sinistra che si sia mai prodotto in Italia spingendola all’occultamento di sé».

Come altro potrebbe spiegarsi, infatti, quella subordinazione mentale che spinge il nuovo che avanza nel Pd, il sindaco di Firenze, Matto Renzi, a rilasciare (25) dichiarazioni del genere:

«Sto con Marchionne. La Fiat fa un investimento sul proprio futuro e per la prima volta non chiede i soldi allo Stato e agli italiani».

Ma Renzi lo ha capito cosa pretende la Fiat in cambio di promesse che al momento non si sono ancora tradotte in nessun serio impegno economico di investimento? Ma una forza politica di centrosinistra come può minimamente tollerare l’accordo di Pomigliano, quello che veniva propagandato come un caso del tutto peculiare ed eccezionale, mentre ora sembra essere diventato la base per tutte le future intese sindacali, dopo che la Fiat ha disdetto tutti i contratti nazionali vigenti? Possibile che Renzi seriamente pensi che il futuro della produzione automobilistica italiana non dipenda da una questione di investimento in innovazione tecnologica e progettuale, ma dipenda dalla pausa mensa di mezz’ora a metà turno? A Pomigliano, nelle otto ore di turno, d’ora in avanti, non ci sarà più una pausa mensa di mezz’ora e due pause di venti minuti ciascuna, ma solo tre pause da dieci minuti, con la mensa collocata a fine turno (26). Otto ore di fila senza mangiare, salvo un rapido spuntino in una delle tre pause da dieci minuti graziosamente concesse, in ognuno degli insediamenti Fiat ancora attivi, e l’industria automobilistica italiana rifiorirà. Renzi, a quanto pare, ne è certo. E dunque non è il caso di porsi alcun dubbio, in proposito.

Ma all’incapacità evidente di candidarsi a rappresentare politicamente gli interessi della classe operaia, va purtroppo sommata anche la debolissima posizione che il Pd assume riguardo alla questione del precariato esistenziale.

Qui il punto politico che bisogna sollevare con forza è l’illegalità sostanziale che ammorba larga fascia dei settori produttivi di questo Paese.

Perché non si ha il coraggio di dire apertamente che l’introduzione di forme contrattuali più flessibili, iniziata col pacchetto Treu (27) e dilagata con la legge 30 del 2003 (inopinatamente intestata a Marco Biagi (28), vittima di un focolaio terroristico del tutto fuori dal tempo e da ogni logica), non ha affatto prodotto ― come si auspicava ― una regolarizzazione di quella significativa massa di rapporti di lavoro, svolti in nero, per sottrarsi a un regime contrattuale considerato troppo rigido? Perché non si riesce a dire che il contratto di stage formativo, così come quello di collaborazione a vario titolo, ed ogni altra misura analoga escogitata per evitare di regolarizzare un’assunzione che dovrebbe essere a tempo indeterminato, nella sostanza, non differiscono dal lavoro irregolare sic et simpliciter? Perché non si riesce, insomma, a far capire che il datore di lavoro che impone al lavoratore questo tipo di pratiche non è diverso dall’imprenditore che elude o evade il fisco, essendo in ogni caso il tutto finalizzato a incrementare in maniera irregolare i propri margini di profitto?

Sono questi gli aspetti che tangibilmente mostrano cosa significhi avere come principale partito del centrosinistra un soggetto politico che, nella migliore delle ipotesi, cerca di conciliare gli interessi dell’impresa con quelli dei lavoratori, quando non si ha invece la netta sensazione che siano invece solo gli interessi delle imprese, quelli che il partito reputi davvero rilevanti (come testimonia appunto lo scivolone di Renzi, citato poc’anzi).

Sono queste le ragioni per cui è più che mai auspicabile che quell’inversione di tendenza che gli elettori sono riusciti a imporre ai dirigenti di partito, a Milano, a Napoli (29) e soprattutto in occasione dei referendum (30) per l’acqua bene comune e contro il ritorno al nucleare da fissione (oltre che per cancellare l’ennesima legge ad personam che Berlusconi si era fatto per evitare il giudizio dei tribunali), riesca a realizzarsi anche alle prossime elezioni politiche.

Elezioni politiche che, sia chiaro: prima ci saranno e meglio sarà, per il futuro del nostro Paese.

Giuseppe D'Elia


«Ci conviene perdere?!?
Ma come ci conviene perdere?
In che senso?» 
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(23) http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-999868/governo-berlusconi-esecutivo-monti-e/

(24) http://www.linkiesta.it/blogs/mambo/sara-casini-e-non-il-pd-decidere-la-fine-di-berlusconi

(25) http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2011/01/13/news/renzi-sto-con-marchionne-primo-diritto-il-lavoro-3164889

(26) http://seideegiapulp.tumblr.com/post/718850073/la-globalizzazione-allombra-del-vesuvio-di-domenico

(27) http://it.wikipedia.org/wiki/Pacchetto_Treu

(28) http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Biagi

(29) http://www.repubblica.it/politica/2011/05/30/dirette/amministrative_la_sfida_dei_ballottaggi_seggi_chiusi_alle_15_poi_gli_exit_poll-16952623/

(30) http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia