mercoledì 7 dicembre 2011

LA CRISI ECONOMICA COME PRETESTO PER UNIRE PD E TERZO POLO /2

Una strategia suicida, 
vero e proprio trionfo del berlusconismo

(segue) Va detto subito che ciò che rende plausibile una deriva centrista del Pd, nei termini posti dalla De Gregorio, è proprio la storia di questo partito. Un soggetto politico che nasce dalla fusione di due partiti eredi della tradizione politica comunista e democristiana: i Democratici di Sinistra (già Partito Democratico della Sinistra) e la Margherita (nata dalla confluenza del Partito Popolare Italiano e di altri soggetti centristi in un partito unico). Una fusione, questa, che ha come scopo dichiarato la prospettiva di avere, nell’Italia del tardo berlusconismo, un nuovo partito che possa essere in grado di continuare a rappresentare il proprio elettorato di riferimento, ma anche di riuscire ad attrarre gli elettori più moderati dello schieramento che per quasi quindici anni ha sostenuto la singolare parabola politica dell’imprenditore ‘prestato’ alla politica.

Vedremo meglio in seguito quali sono i tratti salienti del berlusconismo e gli effetti che questa pluriennale esperienza ha prodotto nel sistema politico italiano. 

Qui ci interessa ragionare sulla strategia ispiratrice del Pd, come partito di centrosinistra che punta a vincere le contese elettorali strappando elettori allo schieramento avverso. Si capisce benissimo che uno scenario del genere presuppone un quadro politico che è più bipartitico che bipolare. Si sa benissimo (o si dovrebbe sapere), però, che nell’Italia repubblicana non c’è mai stato il bipartitismo e solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è sviluppato il cosiddetto bipolarismo dell’alternanza. Un fenomeno politico che ha sempre visto da una parte Berlusconi (e i suoi alleati) e dall’altra “i comunisti”, l’appellativo di comodo con cui l’impero mediatico etichettava i suoi avversari, veicolando e agevolando la propaganda del proprietario dell’impero (lo stesso Berlusconi, chiaramente).

Dal 1994 a tutt’oggi, il centrodestra italiano è sempre stato guidato da Silvio Berlusconi e in ogni tornata elettorale ha sempre avuto lui come candidato premier (sebbene l’Italia sia ancora formalmente una Repubblica parlamentare, dove dunque il capo del governo ― checché se ne dica ― è espressione di una maggioranza parlamentare e, quindi, non è eletto direttamente dal popolo).

Berlusconi ha vinto tutte le volte in cui è riuscito a tenere assieme quell’eterogeneo schieramento di centrodestra che va dall’autonomista Lega Nord ai democristiani più tradizionalisti, passando per gli eredi del post-fascismo, per i liberali dichiarati e per i socialisti craxiani. Il centrosinistra ha vinto invece nel 1996 e nel 2006. In entrambe le occasioni gli elettori premiarono una coalizione di partiti guidata da Romano Prodi. Ma le condizioni e le sorti dei due governi del professore furono molto diverse.

Nel 1996, la vittoria del centrosinistra (8) fu agevolata dal concorso di due peculiare circostanze: un accordo tecnico più che politico con Rifondazione comunista (il cosiddetto patto di desistenza (9): una sorta di intesa per non ostacolarsi a vicenda) e la scelta ― successivamente non più reiterata ― della Lega Nord di non allearsi col centrodestra berlusconiano.

Le elezioni del 2006, sul piano strategico, rappresentano invece il punto di svolta della storia del centrosinistra italiano nella cosiddetta Seconda Repubblica. Il governo Berlusconi uscente aveva chiuso la legislatura precedente cambiando la legge elettorale. Molto di quello che è successo negli ultimi anni è legato più o meno direttamente all’approvazione del cosiddetto Porcellum del leghista Calderoli (10), con tanto di liste bloccate e senza preferenze, nonché di premi di maggioranza e di soglie di sbarramento variabili. La prima reazione dei partiti fu quella di unirsi in due grandi coalizioni di segno opposto: Berlusconi, nella sua, oltre agli alleati ormai storici ― in rigoroso ordine alfabetico: Bossi (Lega Nord), Casini (Unione di Centro) e Fini (Alleanza nazionale) ― decise di tirarvi dentro persino i neofascisti dichiarati (e vedremo tra un po’ che questo non fu un dettaglio irrilevante); Prodi venne scelto con una consultazione molto partecipata, sul modello delle primarie USA (11), per guidare uno schieramento politico che andava dai liberali di Dini ai comunisti che, nel frattempo, si erano già divisi in due mini partiti (uno più movimentista e l’altro più filo-governativo).
Prodi vinse le elezioni di un soffio, ma fu la più classica delle vittorie di Pirro. L’Italia politica del 2006 appariva nettamente spaccata in due: poco più di 19 milioni di elettori a sostegno di Prodi, poco meno di 19 milioni di voti a sostegno Berlusconi, i dati registrati alla Camera (laddove votano tutti i nostri connazionali maggiorenni). Ciò nonostante, proprio grazie al Porcellum, Prodi, partendo dai 340 seggi della Camera, avrebbe ugualmente goduto di una solida maggioranza parlamentare (12), per provare ad attuare il previsto programma (13), se solo al Senato non ci fosse stato un risultato peggiore. L’ingovernabilità del Senato del Prodi bis, insomma, quella maggioranza che si reggeva solo grazie al voto dei senatori a vita, non fu solo il frutto avvelenato di una brutta legge elettorale: al Senato, nel 2006, Prodi non riuscì ad avere un consenso maggioritario. In altre parole, se Prodi alla Camera era risuscito a spuntarla per una manciata di voti (circa due decine di migliaia), al Senato, era Berlusconi che, nel complesso, aveva raccolto più voti (14): non molti di più, certo! Ma comunque decisamente al di sopra delle due decine di migliaia su cui si fondava la vittoria di Prodi nel ramo del parlamento aperto al voto di tutti.

Certo, come accennavamo poco sopra, senza gli oltre quattrocentomila voti dei neofascisti dichiarati (15), Berlusconi non sarebbe riuscito ad azzoppare sul nascere il secondo governo Prodi, ma tant’è: i numeri sono numeri e al Senato non erano numeri favorevoli al centrosinistra. Ed è questo il reale motivo della rapida conclusione di quella esperienza di governo: non il tradimento dei comunisti ― tra l’altro furono tre centristi (Dini, Fisichella e Mastella) a far venire meno la fiducia, nel momento decisivo (16) ― ma un risultato elettorale negativo.

Un risultato elettorale negativo che, poi, si conferma (e, anzi, si rafforza) anche a seguito della prima svolta centrista del neonato Partito democratico: quella, datata 2008, del “voto utile” e del “partito a vocazione maggioritaria” che punta tutto su Walter Veltroni e sulla sua idea di rompere con la cosiddetta sinistra “radicale” (a suo dire “inaffidabile”), per parlare ai moderati dello schieramento avverso e convincerli a sostenere il suo nuovo progetto politico.

Questo è uno dei passaggi più critici: la lettura dei risultati elettorali. Nel 2006, Prodi riuscì a far sì che la fusione tra Ds e Margherita a cui lavorava già da tempo, trovasse una prima realizzazione, nel ripresentarsi uniti ― come alle Europee del 2004 (17) ― con una lista unica, sotto il segno dell’Ulivo. L’Ulivo di Prodi (18), dunque, ottenne circa dodici milioni voti (in percentuale sui voti validamente espressi: il 31,3%): grosso modo gli stessi voti che il Pd di Veltroni ha registrato, due anni dopo (19), vantando però nella grancassa mediatica una straordinaria vittoria, che aveva permesso al nuovo soggetto politico di raggiungere (e di superare di misura) il 33%.

In realtà, se si considera che nelle liste del Pd di Veltroni erano stati ‘ospitati’ anche i candidati radicali ― che potevano contare su un milione di preferenze registrate dalla Rosa nel pugno nel 2006 e su circa 750mila voti alle europee del 2009 (20) ― si capisce subito che, già il parlare di una sostanziale conferma dei voti ottenuti dall’Ulivo nel 2006 è un’affermazione assai generosa. E invece nella vulgata mediatica si è raccontato (e ancora oggi spesso si racconta) di un successo che è a dir poco paradossale: da un lato, perché non si capisce perché un sedicente partito a vocazione maggioritaria dovrebbe esultare per un risultato che, anche in termini percentuali, è parecchio al di sotto della maggioranza assoluta; dall’altro, perché ― anche volendo stimare in un inconcepibile zero assoluto, l’apporto di Pannella, Bonino e dei loro elettori ― il Pd di Veltroni cresce di due punti in percentuale rispetto all’Ulivo soltanto perché nel 2008 è aumentata l’astensione.

La strategia centrista, dunque, nell’immediato non ha prodotto alcun incremento reale nei consensi registrati dalle urne. La supposta capacità di attrazione del voto moderato non c’è stata. Soprattutto, se non fosse ancora sufficientemente chiaro l’esito disastroso della svolta centrista del 2008, mentre l’Unione di Prodi due anni prima aveva ottenuto una vittoria risicata, il Pd di Veltroni (quello “a vocazione maggioritaria”, ma anche no), alleato di Di Pietro e con la partecipazione nelle proprie liste di una delegazione radicale, perde le elezioni con un distacco di oltre tre milioni di voti (Berlusconi supera i diciassette milioni di voti, mentre la mini coalizione-noncoalizione di Veltroni nemmeno riesce ad arrivare a quattordici milioni di preferenze), pari a poco meno di dieci punti, in percentuale (Berlusconi presidente: quasi al 47%; Veltroni presidente: 37,5% circa).

Nonostante questa evidente sconfitta elettorale, Veltroni scelse di continuare a puntare dritto al centro, iniziando a corteggiare apertamente l’Udc. Qui è doveroso sottolineare che anche sommando i poco più di due milioni di voti del partito di Casini a quelli di Veltroni, nel 2008, la sconfitta sarebbe stata egualmente inevitabile. Tuttavia Veltroni continuava a sostenere che, per il futuro, bisognasse puntare a un’alleanza stabile con l’Udc. Nelle successive tornate elettorali, però, il Pd, localmente, fece registrare dei risultati imbarazzanti che spinsero Veltroni a dimettersi da segretario.

Anche a fronte di un risultato alquanto deprimente alle Europee del 2009 (il partito “a vocazione maggioritaria”, non riusciva a raccogliere nemmeno otto milioni di voti, su un corpo elettorale di cinquanta milioni di aventi diritto), nella nuova segreteria cominciano infine a registrarsi dei primi timidi accenni a un cambio di strategia e si introduce nel pubblico dibattito l’idea di far nascere un Nuovo Ulivo (21).

In verità, non si è mai capito bene se il cosiddetto Nuovo Ulivo dovesse essere un patto elettorale tra Pd e forze della sinistra, o se il progetto strategico di nuove alleanze dovesse mirare a coinvolgere anche l’Udc.

Di certo, è notoria l’avversione di Casini (22) per Vendola e Di Pietro (i due principali esponenti delle forze politiche collocabili a sinistra del Pd).

Di certo, è evidente che più il Pd si sposta al centro, più una parte del suo elettorato ― verosimilmente quella più di sinistra ― rinuncia a seguirlo.

Con il che si comprende meglio il senso di quel perverso ragionamento del dirigente piddino, di cui ci ha dato notizia la De Gregorio: se il nostro elettorato di riferimento non capisce i disegni degli strateghi di partito, sarà la situazione emergenziale generata dall’aggravarsi della crisi economica a indurre ognuno dei nostri potenziali elettori a più miti consigli.

Detta così sembra quasi un ricatto. E se non è proprio un ricatto, senz’altro non è un discorso squisitamente democratico.

(continua)

Giuseppe D'Elia


«Ci conviene perdere?!?
Ma come ci conviene perdere?
In che senso?» 
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(8) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=21/04/1996&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(9) http://archiviostorico.corriere.it/1995/ottobre/19/Ulivo_Rifondazione_accordo_elettorale_desistenza_co_0_951019936.shtml

(10) http://video.google.com/videoplay?docid=8532343123591937403 + http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Calderoli

(11) http://www.repubblica.it/2005/j/dirette/sezioni/politica/riforme/primarie/index.html

(12) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(13) http://bit.ly/sbQC3q

(14) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=S&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(15) http://it.wikipedia.org/wiki/Alternativa_Sociale + http://www.fiammatricolore.com/

(16) http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/29563girata.asp

(17) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=12/06/2004&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(18) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(19) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=13/04/2008&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(20) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=07/06/2009&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S

(21) http://archiviostorico.corriere.it/2011/settembre/17/Bersani_nuovo_Ulivo_con_Pietro_co_9_110917014.shtml

(22) http://www.youtube.com/watch?v=Epc2TTAUlS0