(segue) Va detto subito che ciò che rende plausibile una deriva centrista del
Pd, nei termini posti dalla De Gregorio, è proprio la storia di questo
partito. Un soggetto politico che nasce dalla fusione di due partiti
eredi della tradizione politica comunista e democristiana: i Democratici
di Sinistra (già Partito Democratico della Sinistra) e la Margherita
(nata dalla confluenza del Partito Popolare Italiano e di altri soggetti
centristi in un partito unico). Una fusione, questa, che ha come scopo
dichiarato la prospettiva di avere, nell’Italia del tardo berlusconismo,
un nuovo partito che possa essere in grado di continuare a
rappresentare il proprio elettorato di riferimento, ma anche di riuscire
ad attrarre gli elettori più moderati dello schieramento che per quasi
quindici anni ha sostenuto la singolare parabola politica
dell’imprenditore ‘prestato’ alla politica.
Vedremo meglio in
seguito quali sono i tratti salienti del berlusconismo e gli effetti che
questa pluriennale esperienza ha prodotto nel sistema politico italiano.
Qui ci interessa ragionare sulla strategia ispiratrice del Pd,
come partito di centrosinistra che punta a vincere le contese
elettorali strappando elettori allo schieramento avverso. Si capisce
benissimo che uno scenario del genere presuppone un quadro politico che è
più bipartitico che bipolare. Si sa benissimo (o si dovrebbe sapere),
però, che nell’Italia repubblicana non c’è mai stato il bipartitismo e
solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso si è sviluppato il
cosiddetto bipolarismo dell’alternanza. Un fenomeno politico che ha
sempre visto da una parte Berlusconi (e i suoi alleati) e dall’altra “i
comunisti”, l’appellativo di comodo con cui l’impero mediatico
etichettava i suoi avversari, veicolando e agevolando la propaganda del
proprietario dell’impero (lo stesso Berlusconi, chiaramente).
Dal
1994 a tutt’oggi, il centrodestra italiano è sempre stato guidato da
Silvio Berlusconi e in ogni tornata elettorale ha sempre avuto lui come
candidato premier (sebbene l’Italia sia ancora formalmente una
Repubblica parlamentare, dove dunque il capo del governo ― checché se ne
dica ― è espressione di una maggioranza parlamentare e, quindi, non è
eletto direttamente dal popolo).
Berlusconi ha vinto tutte le volte in cui è riuscito a tenere assieme quell’eterogeneo schieramento di centrodestra che va dall’autonomista Lega Nord ai democristiani più tradizionalisti, passando per gli eredi del post-fascismo, per i liberali dichiarati e per i socialisti craxiani. Il centrosinistra ha vinto invece nel 1996 e nel 2006. In entrambe le occasioni gli elettori premiarono una coalizione di partiti guidata da Romano Prodi. Ma le condizioni e le sorti dei due governi del professore furono molto diverse.
Nel 1996, la vittoria del centrosinistra (8) fu
agevolata dal concorso di due peculiare circostanze: un accordo tecnico
più che politico con Rifondazione comunista (il cosiddetto patto di
desistenza (9): una sorta di intesa per non ostacolarsi a vicenda) e la
scelta ― successivamente non più reiterata ― della Lega Nord di non
allearsi col centrodestra berlusconiano.
Le elezioni del 2006,
sul piano strategico, rappresentano invece il punto di svolta della
storia del centrosinistra italiano nella cosiddetta Seconda Repubblica.
Il governo Berlusconi uscente aveva chiuso la legislatura precedente
cambiando la legge elettorale. Molto di quello che è successo negli
ultimi anni è legato più o meno direttamente all’approvazione del
cosiddetto Porcellum del leghista Calderoli (10), con tanto di liste
bloccate e senza preferenze, nonché di premi di maggioranza e di soglie
di sbarramento variabili. La prima reazione dei partiti fu quella di
unirsi in due grandi coalizioni di segno opposto: Berlusconi, nella sua,
oltre agli alleati ormai storici ― in rigoroso ordine alfabetico: Bossi
(Lega Nord), Casini (Unione di Centro) e Fini (Alleanza nazionale) ―
decise di tirarvi dentro persino i neofascisti dichiarati (e vedremo tra
un po’ che questo non fu un dettaglio irrilevante); Prodi venne scelto
con una consultazione molto partecipata, sul modello delle primarie USA
(11), per guidare uno schieramento politico che andava dai liberali di
Dini ai comunisti che, nel frattempo, si erano già divisi in due mini
partiti (uno più movimentista e l’altro più filo-governativo).
Prodi
vinse le elezioni di un soffio, ma fu la più classica delle vittorie di
Pirro. L’Italia politica del 2006 appariva nettamente spaccata in due:
poco più di 19 milioni di elettori a sostegno di Prodi, poco meno di 19
milioni di voti a sostegno Berlusconi, i dati registrati alla Camera
(laddove votano tutti i nostri connazionali maggiorenni). Ciò
nonostante, proprio grazie al Porcellum, Prodi, partendo dai 340 seggi
della Camera, avrebbe ugualmente goduto di una solida maggioranza
parlamentare (12), per provare ad attuare il previsto programma (13), se
solo al Senato non ci fosse stato un risultato peggiore.
L’ingovernabilità del Senato del Prodi bis, insomma, quella maggioranza
che si reggeva solo grazie al voto dei senatori a vita, non fu solo il
frutto avvelenato di una brutta legge elettorale: al Senato, nel 2006,
Prodi non riuscì ad avere un consenso maggioritario. In altre parole, se
Prodi alla Camera era risuscito a spuntarla per una manciata di voti
(circa due decine di migliaia), al Senato, era Berlusconi che, nel
complesso, aveva raccolto più voti (14): non molti di più, certo! Ma
comunque decisamente al di sopra delle due decine di migliaia su cui si
fondava la vittoria di Prodi nel ramo del parlamento aperto al voto di
tutti.
Certo, come accennavamo poco sopra, senza gli oltre
quattrocentomila voti dei neofascisti dichiarati (15), Berlusconi non
sarebbe riuscito ad azzoppare sul nascere il secondo governo Prodi, ma
tant’è: i numeri sono numeri e al Senato non erano numeri favorevoli al
centrosinistra. Ed è questo il reale motivo della rapida conclusione di
quella esperienza di governo: non il tradimento dei comunisti ― tra
l’altro furono tre centristi (Dini, Fisichella e Mastella) a far venire
meno la fiducia, nel momento decisivo (16) ― ma un risultato elettorale
negativo.
Un risultato elettorale negativo che, poi, si conferma
(e, anzi, si rafforza) anche a seguito della prima svolta centrista del
neonato Partito democratico: quella, datata 2008, del “voto utile” e del
“partito a vocazione maggioritaria” che punta tutto su Walter Veltroni e
sulla sua idea di rompere con la cosiddetta sinistra “radicale” (a suo
dire “inaffidabile”), per parlare ai moderati dello schieramento avverso
e convincerli a sostenere il suo nuovo progetto politico.
Questo
è uno dei passaggi più critici: la lettura dei risultati elettorali.
Nel 2006, Prodi riuscì a far sì che la fusione tra Ds e Margherita a cui
lavorava già da tempo, trovasse una prima realizzazione, nel
ripresentarsi uniti ― come alle Europee del 2004 (17) ― con una lista
unica, sotto il segno dell’Ulivo. L’Ulivo di Prodi (18), dunque, ottenne
circa dodici milioni voti (in percentuale sui voti validamente
espressi: il 31,3%): grosso modo gli stessi voti che il Pd di Veltroni
ha registrato, due anni dopo (19), vantando però nella grancassa
mediatica una straordinaria vittoria, che aveva permesso al nuovo
soggetto politico di raggiungere (e di superare di misura) il 33%.
In
realtà, se si considera che nelle liste del Pd di Veltroni erano stati
‘ospitati’ anche i candidati radicali ― che potevano contare su un
milione di preferenze registrate dalla Rosa nel pugno nel 2006 e su
circa 750mila voti alle europee del 2009 (20) ― si capisce subito che,
già il parlare di una sostanziale conferma dei voti ottenuti dall’Ulivo
nel 2006 è un’affermazione assai generosa. E invece nella vulgata
mediatica si è raccontato (e ancora oggi spesso si racconta) di un
successo che è a dir poco paradossale: da un lato, perché non si capisce
perché un sedicente partito a vocazione maggioritaria dovrebbe esultare
per un risultato che, anche in termini percentuali, è parecchio al di
sotto della maggioranza assoluta; dall’altro, perché ― anche volendo
stimare in un inconcepibile zero assoluto, l’apporto di Pannella, Bonino
e dei loro elettori ― il Pd di Veltroni cresce di due punti in
percentuale rispetto all’Ulivo soltanto perché nel 2008 è aumentata
l’astensione.
La strategia centrista, dunque, nell’immediato non
ha prodotto alcun incremento reale nei consensi registrati dalle urne.
La supposta capacità di attrazione del voto moderato non c’è stata.
Soprattutto, se non fosse ancora sufficientemente chiaro l’esito
disastroso della svolta centrista del 2008, mentre l’Unione di Prodi due
anni prima aveva ottenuto una vittoria risicata, il Pd di Veltroni
(quello “a vocazione maggioritaria”, ma anche no), alleato di Di Pietro e
con la partecipazione nelle proprie liste di una delegazione radicale,
perde le elezioni con un distacco di oltre tre milioni di voti
(Berlusconi supera i diciassette milioni di voti, mentre la mini
coalizione-noncoalizione di Veltroni nemmeno riesce ad arrivare a
quattordici milioni di preferenze), pari a poco meno di dieci punti, in
percentuale (Berlusconi presidente: quasi al 47%; Veltroni presidente:
37,5% circa).
Nonostante questa evidente sconfitta elettorale,
Veltroni scelse di continuare a puntare dritto al centro, iniziando a
corteggiare apertamente l’Udc. Qui è doveroso sottolineare che anche
sommando i poco più di due milioni di voti del partito di Casini a
quelli di Veltroni, nel 2008, la sconfitta sarebbe stata egualmente
inevitabile. Tuttavia Veltroni continuava a sostenere che, per il
futuro, bisognasse puntare a un’alleanza stabile con l’Udc. Nelle
successive tornate elettorali, però, il Pd, localmente, fece registrare
dei risultati imbarazzanti che spinsero Veltroni a dimettersi da
segretario.
Anche a fronte di un risultato alquanto deprimente
alle Europee del 2009 (il partito “a vocazione maggioritaria”, non
riusciva a raccogliere nemmeno otto milioni di voti, su un corpo
elettorale di cinquanta milioni di aventi diritto), nella nuova
segreteria cominciano infine a registrarsi dei primi timidi accenni a un
cambio di strategia e si introduce nel pubblico dibattito l’idea di far
nascere un Nuovo Ulivo (21).
In verità, non si è mai capito bene
se il cosiddetto Nuovo Ulivo dovesse essere un patto elettorale tra Pd e
forze della sinistra, o se il progetto strategico di nuove alleanze
dovesse mirare a coinvolgere anche l’Udc.
Di certo, è notoria
l’avversione di Casini (22) per Vendola e Di Pietro (i due principali
esponenti delle forze politiche collocabili a sinistra del Pd).
Di
certo, è evidente che più il Pd si sposta al centro, più una parte del
suo elettorato ― verosimilmente quella più di sinistra ― rinuncia a
seguirlo.
Con il che si comprende meglio il senso di quel
perverso ragionamento del dirigente piddino, di cui ci ha dato notizia
la De Gregorio: se il nostro elettorato di riferimento non capisce i
disegni degli strateghi di partito, sarà la situazione emergenziale
generata dall’aggravarsi della crisi economica a indurre ognuno dei
nostri potenziali elettori a più miti consigli.
Detta così sembra quasi un ricatto. E se non è proprio un ricatto, senz’altro non è un discorso squisitamente democratico.
(continua)
Giuseppe D'Elia
«Ci conviene perdere?!?
Ma come ci conviene perdere?
In che senso?»
In che senso?»
(8) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=21/04/1996&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(9) http://archiviostorico.corriere.it/1995/ottobre/19/Ulivo_Rifondazione_accordo_elettorale_desistenza_co_0_951019936.shtml
(10) http://video.google.com/videoplay?docid=8532343123591937403 + http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Calderoli
(11) http://www.repubblica.it/2005/j/dirette/sezioni/politica/riforme/primarie/index.html
(12) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(13) http://bit.ly/sbQC3q
(14) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=S&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(15) http://it.wikipedia.org/wiki/Alternativa_Sociale + http://www.fiammatricolore.com/
(16) http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/200801articoli/29563girata.asp
(17) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=12/06/2004&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(18) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=09/04/2006&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(19) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=C&dtel=13/04/2008&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(20) http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=E&dtel=07/06/2009&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
(21) http://archiviostorico.corriere.it/2011/settembre/17/Bersani_nuovo_Ulivo_con_Pietro_co_9_110917014.shtml
(22) http://www.youtube.com/watch?v=Epc2TTAUlS0