(segue) Dopo aver verificato, numeri alla mano, perché l’ossessione centrista
di parte del gruppo dirigente del Pd, da un punto di vista strategico,
costituisce un suicidio politico, bisogna comprendere bene in che senso
il perseguimento convinto di questo tipo di obiettivo finisca col
rappresentare un vero e proprio trionfo del berlusconismo. Vanno,
pertanto, brevemente accennati i tratti salienti di un fenomeno che, fin
qui, abbiamo più volte nominato, senza però mai poi provare a darne una
qualche minima definizione.
Ora che, finalmente, Silvio
Berlusconi sembra essersi adagiato sul tratto discendente della sua
parabola politica, insomma, è possibile dire una parola di chiarezza su
questa sciagurata fase storica? L’uso violento dell’apparato mediatico
che lui direttamente (nelle televisioni e negli altri media di famiglia)
o indirettamente (nei media controllati grazie al suo potere di
pressione politica o finanziaria) ha avuto modo di orientare, la
propaganda ossessiva a base di slogan ad alto impatto emozionale,
l’occultamento e il sovvertimento della realtà fattuale, sono tutti
elementi che vogliamo provare a lasciarci definitivamente alle spalle,
oppure no?
Le vicende che abbiamo fin qui descritto, purtroppo,
danno un pessimo segnale in proposito: Berlusconi ha realizzato per anni
le sue finalità prioritarie ― in estrema sintesi: la neutralizzazione
delle inchieste giudiziarie che direttamente lo coinvolgevano; la
salvaguardia del suo impero economico ― innescando nel suo elettorato
dei meccanismi psicologici, per cui il voto al suo schieramento doveva
apparire come qualcosa di ineluttabile, a prescindere poi da ogni
verifica di merito sull’operato del suo governo. Il piatto forte delle
sue campagne elettorali, in fondo, è sempre stato questo: “la paura di”.
Se non volete “A”, dovete votare B. Laddove B. è stata la costante che
ha dominato la scena politica italiana, per un ventennio (o giù di lì),
mentre “A” era una variabile di comodo: la dittatura comunista;
l’invasione islamica; il partito delle tasse (o anche quello
“dell’invidia e dell’odio”); etc.
Ebbene: il partito veltroniano
“a vocazione maggioritaria”, quello che ha provato a convincere
l’ipotetico berlusconiano moderato a preferire la serietà del nuovo
soggetto politico al proprio vecchio referente elettorale, non è un
partito che a parole diceva di ripudiare l’antiberlusconismo e nei
fatti, poi, attraverso la cosiddetta strategia del voto utile, cercava
invece di costringere l’elettore di sinistra a continuare a votare “come
ha sempre votato”, per evitare che poi vincesse nuovamente Berlusconi?
E,
di fronte al fallimento di questa strategia basata sulla doppiezza e
sulla mistificazione, il progetto ancor più smaccatamente centrista,
denunciato dalla De Gregorio (l’idea di sfruttare la crisi economica per
far digerire all’elettorato di sinistra un’eventuale accordo elettorale
con gli ex alleati di Berlusconi: il cosiddetto Terzo Polo), non è una
ulteriore applicazione di questo meccanismo psicologico?
Lo
stesso governo Monti, di fatto, oggi, nasce grazie a una massiccia dose
di propaganda mediatica di questo tipo: “se non vuoi che l’Italia
fallisca devi accettare il cambio di governo senza passaggio
elettorale”. ‘Qualcuno’ (23), addirittura, è arrivato a parlare
espressamente di “sospensione della democrazia”. E qui il problema è che
― come già si è accennato in precedenza ― se è vero che la nostra è pur
sempre una Repubblica parlamentare (e che dunque in caso di dimissioni
del governo uscito vincitore dalle urne, il Presidente della Repubblica
può sempre verificare se il Parlamento è disposto a dare la sua fiducia a
un nuovo esecutivo), va anche detto che le modifiche significative
prodotte dalla legge elettorale altrimenti nota come “Porcata” non
consentono certo di avere un Parlamento che sia perfettamente
rappresentativo delle diverse opzioni politiche presenti nel Paese; un
parlamento, peraltro, in cui vi sono diversi esponenti che non brillano
certo per autonomia politica e per dirittura morale.
Ma, ancor
più che sul terreno delle pratiche politiche, è su quello dei contenuti
programmatici che si può evidenziare chiaramente quanto il berlusconismo
abbia condizionato e stia condizionando l’azione del Partito
democratico.
Si pensi a quello che è il vero e proprio nervo
scoperto di questa fase storica della politica italiana: le politiche
del lavoro. Questo è il settore nel quale è più evidente che mai, quanto
siano azzeccate le parole, scritte da Peppino Caldarola, in uno dei suo
articoli più recenti (24):
«Il berlusconismo, ecco la conclusione, con la sua martellante campagna anticomunista, è riuscito a provocare il più gran rigetto culturale della sinistra che si sia mai prodotto in Italia spingendola all’occultamento di sé».
Come
altro potrebbe spiegarsi, infatti, quella subordinazione mentale che
spinge il nuovo che avanza nel Pd, il sindaco di Firenze, Matto Renzi, a
rilasciare (25) dichiarazioni del genere:
«Sto con Marchionne. La Fiat fa un investimento sul proprio futuro e per la prima volta non chiede i soldi allo Stato e agli italiani».
Ma Renzi lo ha capito
cosa pretende la Fiat in cambio di promesse che al momento non si sono
ancora tradotte in nessun serio impegno economico di investimento? Ma
una forza politica di centrosinistra come può minimamente tollerare
l’accordo di Pomigliano, quello che veniva propagandato come un caso del
tutto peculiare ed eccezionale, mentre ora sembra essere diventato la
base per tutte le future intese sindacali, dopo che la Fiat ha disdetto
tutti i contratti nazionali vigenti? Possibile che Renzi seriamente
pensi che il futuro della produzione automobilistica italiana non
dipenda da una questione di investimento in innovazione tecnologica e
progettuale, ma dipenda dalla pausa mensa di mezz’ora a metà turno? A
Pomigliano, nelle otto ore di turno, d’ora in avanti, non ci sarà più
una pausa mensa di mezz’ora e due pause di venti minuti ciascuna, ma
solo tre pause da dieci minuti, con la mensa collocata a fine turno
(26). Otto ore di fila senza mangiare, salvo un rapido spuntino in una
delle tre pause da dieci minuti graziosamente concesse, in ognuno degli
insediamenti Fiat ancora attivi, e l’industria automobilistica italiana
rifiorirà. Renzi, a quanto pare, ne è certo. E dunque non è il caso di
porsi alcun dubbio, in proposito.
Ma all’incapacità evidente di
candidarsi a rappresentare politicamente gli interessi della classe
operaia, va purtroppo sommata anche la debolissima posizione che il Pd
assume riguardo alla questione del precariato esistenziale.
Qui
il punto politico che bisogna sollevare con forza è l’illegalità
sostanziale che ammorba larga fascia dei settori produttivi di questo
Paese.
Perché non si ha il coraggio di dire apertamente che
l’introduzione di forme contrattuali più flessibili, iniziata col
pacchetto Treu (27) e dilagata con la legge 30 del 2003 (inopinatamente
intestata a Marco Biagi (28), vittima di un focolaio terroristico del
tutto fuori dal tempo e da ogni logica), non ha affatto prodotto ― come
si auspicava ― una regolarizzazione di quella significativa massa di
rapporti di lavoro, svolti in nero, per sottrarsi a un regime
contrattuale considerato troppo rigido? Perché non si riesce a dire che
il contratto di stage formativo, così come quello di collaborazione a
vario titolo, ed ogni altra misura analoga escogitata per evitare di
regolarizzare un’assunzione che dovrebbe essere a tempo indeterminato,
nella sostanza, non differiscono dal lavoro irregolare sic et
simpliciter? Perché non si riesce, insomma, a far capire che il datore
di lavoro che impone al lavoratore questo tipo di pratiche non è diverso
dall’imprenditore che elude o evade il fisco, essendo in ogni caso il
tutto finalizzato a incrementare in maniera irregolare i propri margini
di profitto?
Sono questi gli aspetti che tangibilmente mostrano
cosa significhi avere come principale partito del centrosinistra un
soggetto politico che, nella migliore delle ipotesi, cerca di conciliare
gli interessi dell’impresa con quelli dei lavoratori, quando non si ha
invece la netta sensazione che siano invece solo gli interessi delle
imprese, quelli che il partito reputi davvero rilevanti (come testimonia
appunto lo scivolone di Renzi, citato poc’anzi).
Sono queste le
ragioni per cui è più che mai auspicabile che quell’inversione di
tendenza che gli elettori sono riusciti a imporre ai dirigenti di
partito, a Milano, a Napoli (29) e soprattutto in occasione dei
referendum (30) per l’acqua bene comune e contro il ritorno al nucleare
da fissione (oltre che per cancellare l’ennesima legge ad personam che
Berlusconi si era fatto per evitare il giudizio dei tribunali), riesca a
realizzarsi anche alle prossime elezioni politiche.
Elezioni politiche che, sia chiaro: prima ci saranno e meglio sarà, per il futuro del nostro Paese.
Giuseppe D'Elia
«Ci conviene perdere?!?
Ma come ci conviene perdere?
In che senso?»
In che senso?»
(23) http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-999868/governo-berlusconi-esecutivo-monti-e/
(24) http://www.linkiesta.it/blogs/mambo/sara-casini-e-non-il-pd-decidere-la-fine-di-berlusconi
(25) http://iltirreno.gelocal.it/livorno/cronaca/2011/01/13/news/renzi-sto-con-marchionne-primo-diritto-il-lavoro-3164889
(26) http://seideegiapulp.tumblr.com/post/718850073/la-globalizzazione-allombra-del-vesuvio-di-domenico
(27) http://it.wikipedia.org/wiki/Pacchetto_Treu
(28) http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_Biagi
(29) http://www.repubblica.it/politica/2011/05/30/dirette/amministrative_la_sfida_dei_ballottaggi_seggi_chiusi_alle_15_poi_gli_exit_poll-16952623/
(30) http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_abrogativi_del_2011_in_Italia