(segue) Come il
lettore più attento avrà di certo notato, il discorso sugli effetti
politici di lungo periodo della reazione americana agli attacchi
dell’undici settembre, da ultimo, si è particolarmente incentrato sulla
situazione europea. Questo perché alla logica dello scontro di civiltà e
alla dottrina Bush della guerra preventiva permanente, quantomeno sul
piano simbolico, gli USA, diversamente dall’Europa, hanno già provato a
reagire, scegliendo di eleggere il primo Presidente di origini
africane della storia del loro paese. Ovviamente, non rientra certo
nell’economia di questo discorso una disamina accurata dell’operato del
Presidente Obama. Tuttavia il Paese vittima degli attentati, di fatto,
ha già scelto di voltare pagina. E il cambiamento proposto da Obama,
almeno programmaticamente, nel suo contesto, risulta (nella forma) più
‘rivoluzionario’ delle attuali proposte delle sinistre riformiste
europee. Il che può essere un discreto indizio a favore della tesi
delle precondizioni più favorevoli al dilagare delle destre xenofobe e
dell’individualismo esasperato, laddove le sinistre erano già
politicamente più deboli. Infatti, l’impatto del crollo del mondo
diviso in due blocchi, logicamente, è stato molto più devastante per
quella sinistra che (più o meno apertamente) aveva flirtato col
marxismo ortodosso, che non per la sinistra americana.
Sia come sia, l’inadeguatezza di una sinistra che sembra ormai
incapace d’immaginare il futuro e di progettare un mondo e una società
diversi e migliori, se non fosse già comprovata da quanto osservato fin
qui, si rivela con tutta evidenza nel modo in cui le sinistre
(soprattutto europee) non riescono ad affrontare la recente crisi
economica.
Qui emerge il dramma di una classe politica che cede completamente il
campo del discorso pubblico all’irrazionalità della controparte: di
una destra che, in Italia, ad esempio, si vanta di saper “parlare alla
pancia” dei cittadini elettori.
E se alla deliberata e dichiarata scelta di una parte politica che si
rivolge ai bassi estinti, l’unica risposta sensata è la denuncia
costante delle sue innumerevoli contraddizioni, la domanda inevasa non
può che essere la seguente: perché queste enormi contraddizioni non
vengono sempre denunciate come tali, ma anzi talvolta vengono
assecondate?
In concreto, sul punto specifico che adesso si sta considerando:
perché si accetta di descrivere una crisi finanziaria come una sorta di
calamità naturale a cui non si può far altro che cercare di porre un
qualunque rimedio, una volta che questa sia capitata?
Perché invece, ad esempio, non si dà il dovuto risalto alle lucide
considerazioni svolte in proposito da un sociologo di chiara fama, quale
è Luciano Gallino (14):
«Uno dei problemi di fondo di questa crisi è che le banche hanno contratto enormi debiti a causa di errate iniziative borsistiche come l’acquisto di titoli tossici. Debito che si è riversato sui deficit dei governi grazie ai salvataggi pubblici. Dal 2008 tanto negli Stati uniti quanto in parecchi Paesi europei, certamente nel Regno unito, in Germania e Francia, si sono fatte fior di politiche keynesiane “imbastardite” per salvare le banche. L’economia è stata salvata grazie all’intervento massiccio degli Stati, valutato tra soldi spesi e impegnati intorno ai 12–15 trilioni di dollari» (15),
ragion per cui oggi
«il finanzcapitalismo ha disvelato il suo ultimo capolavoro: rappresentare il crescente debito pubblico degli Stati non come l’effetto di lungo periodo delle sue proprie sregolatezze e dei suoi vizi strutturali, largamente sostenuti e incentivati dalla politica, bensì come l’effetto di condizioni di lavoro e di uno stato sociale eccessivamente generosi» (16).
Non è più che ragionevole ipotizzare che (almeno in Italia e in
Europa) delle sinistre che non avessero ripudiato integralmente la
questione della lotta di classe oggi non avrebbero alcuna difficoltà
nel denunciare e nel combattere fermamente la dissennatezza e le
mistificazioni di un capitalismo finanziario che, per usare alcune note
ed efficacissime espressioni, sta facendo una vera e propria “lotta di
classe alla rovescia”, cercando di instaurare una sorta di “socialismo
per ricchi”?
E, ritornando su quanto detto in precedenza, di fronte al dilagare di
una destra xenofoba che descrive i fenomeni migratori come una sorta
di barbara e temibile invasione, perché la sinistra non ha il coraggio
di denunciare l’assurdità di un modello economico che si fonda sulla
libera circolazione delle merci e dei capitali, ma che poi vuole
ostacolare (o addirittura impedire) l’altrettanto libera circolazione
delle persone?
Perché la cosiddetta sinistra riformista si rifiuta di mettere
seriamente in discussione il modello economico che genera il fenomeno
migratorio di massa, rendendo così più difficile la creazione di un
mondo aperto, accogliente e senza frontiere?
Perché le sinistre non riescono, cioè, a fare fronte comune nemmeno
sull’ovvia considerazione che in un sistema economico che fosse in grado
di garantire davvero il benessere diffuso di ogni area del pianeta, il
fenomeno delle migrazioni di massa (e le susseguenti questioni di
ordine pubblico che vi si potrebbero riconnettere), semplicemente,
svanirebbe nel nulla, restando circoscritto alle eccezionali ipotesi di
catastrofi naturali di immani dimensioni e rendendo, quindi, ogni
individuo libero di scegliere dove vivere, senza che ciò debba più
determinare alcun problema di insicurezza collettiva (reale o anche
solo percepita)?
Insomma: se le sinistre europee, oggi, non hanno la capacità di far
comprendere facilmente ai popoli che si propongono di guidare quanto sia
stato folle appaltare (e in esclusiva) la questione dello sviluppo
economico al mercato e far scorrere un intero decennio, inventandosi
nuove crociate e nemici inesistenti da andare a combattere in giro per
il mondo, guerreggiando fuori e innalzando mura e fossati immaginari
dentro, non è anche e soprattutto perché esse stesse hanno ceduto al
fascino della telepolitica dei bassi istinti e dell’immediato consenso
da capitalizzare nei sondaggi d’opinione, accontentandosi di fare
(quando è possibile) un po’ di amministrazione spicciola e nulla più?
L’auspicio conclusivo, allora, è che i tanti e diversi spunti di un
discorso complicatissimo che qui abbiamo soltanto potuto abbozzare, ma
che altri, in maniera più compiuta e autorevole, stanno già sviluppando,
possano trovare presto una più ampia diffusione, diventando il cuore
della rinascita delle sinistre che finalmente si riconnettono col
proprio popolo. Un popolo di lavoratori, per ciò stesso maggioritario e
in perenne conflitto con gli interessi del capitale, ma anche un popolo
che sa benissimo che non c’è necessariamente un contrasto insanabile
tra libertà e uguaglianza e che, forse, comprende altrettanto bene che
la giusta sintesi va trovata nel valore rivoluzionario disperso: la
fratellanza; da declinare però non più in chiave nazionale, ma
planetaria (ossia: fratellanza del genere umano).
Se le sinistre riusciranno a rifondarsi su base umanista e laburista –
socialdemocratica e keynesiana o socialista e neo-marxiana, a seconda
di sviluppi che qui è semplicemente impossibile prevedere – forse, le
cose potranno davvero cambiare negli anni a venire.
Diversamente, si rimarrà ancora a lungo schiavi della logica delle
due destre, una dal volto feroce, l’altra dal volto un po’ più umano,
ma entrambe piegate a difendere i medesimi interessi economici: quelli
del grande capitale finanziario. L’unico elemento, tra l’altro, che sia
in grado di trarre profitto da una logica di guerra permanente e da un
‘libero’ mercato generatore di infiniti conflitti e mostruose
diseguaglianze. Ciò che, in ultima analisi, è accaduto nel decennio
appena trascorso.
Giuseppe D'Elia
per L'Indiependente
«Every nation, in every region, now has a decision to make.
Either you are with us, or you are with the terrorists».
________________________________________(14) http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Gallino
(15) http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&id=17453&view=article
(16) http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-civilta-del-denaro-in-crisi/