giovedì 15 settembre 2011

Prodromi e sviluppi politici dell'undici settembre: da Berlino a Breivik, un viaggio nella crisi epocale delle sinistre/3


(segue) Come il lettore più attento avrà di certo notato, il discorso sugli effetti politici di lungo periodo della reazione americana agli attacchi dell’undici settembre, da ultimo, si è particolarmente incentrato sulla situazione europea. Questo perché alla logica dello scontro di civiltà e alla dottrina Bush della guerra preventiva permanente, quantomeno sul piano simbolico, gli USA, diversamente dall’Europa, hanno già provato a reagire, scegliendo di eleggere il primo Presidente di origini africane della storia del loro paese. Ovviamente, non rientra certo nell’economia di questo discorso una disamina accurata dell’operato del Presidente Obama. Tuttavia il Paese vittima degli attentati, di fatto, ha già scelto di voltare pagina. E il cambiamento proposto da Obama, almeno programmaticamente, nel suo contesto, risulta (nella forma) più ‘rivoluzionario’ delle attuali proposte delle sinistre riformiste europee. Il che può essere un discreto indizio a favore della tesi delle precondizioni più favorevoli al dilagare delle destre xenofobe e dell’individualismo esasperato, laddove le sinistre erano già politicamente più deboli. Infatti, l’impatto del crollo del mondo diviso in due blocchi, logicamente, è stato molto più devastante per quella sinistra che (più o meno apertamente) aveva flirtato col marxismo ortodosso, che non per la sinistra americana.

Sia come sia, l’inadeguatezza di una sinistra che sembra ormai incapace d’immaginare il futuro e di progettare un mondo e una società diversi e migliori, se non fosse già comprovata da quanto osservato fin qui, si rivela con tutta evidenza nel modo in cui le sinistre (soprattutto europee) non riescono ad affrontare la recente crisi economica.

Qui emerge il dramma di una classe politica che cede completamente il campo del discorso pubblico all’irrazionalità della controparte: di una destra che, in Italia, ad esempio, si vanta di saper “parlare alla pancia” dei cittadini elettori.

E se alla deliberata e dichiarata scelta di una parte politica che si rivolge ai bassi estinti, l’unica risposta sensata è la denuncia costante delle sue innumerevoli contraddizioni, la domanda inevasa non può che essere la seguente: perché queste enormi contraddizioni non vengono sempre denunciate come tali, ma anzi talvolta vengono assecondate?


In concreto, sul punto specifico che adesso si sta considerando: perché si accetta di descrivere una crisi finanziaria come una sorta di calamità naturale a cui non si può far altro che cercare di porre un qualunque rimedio, una volta che questa sia capitata?
Perché invece, ad esempio, non si dà il dovuto risalto alle lucide considerazioni svolte in proposito da un sociologo di chiara fama, quale è Luciano Gallino (14):
«Uno dei problemi di fondo di questa crisi è che le banche hanno contratto enormi debiti a causa di errate iniziative borsistiche come l’acquisto di titoli tossici. Debito che si è riversato sui deficit dei governi grazie ai salvataggi pubblici. Dal 2008 tanto negli Stati uniti quanto in parecchi Paesi europei, certamente nel Regno unito, in Germania e Francia, si sono fatte fior di politiche keynesiane “imbastardite” per salvare le banche. L’economia è stata salvata grazie all’intervento massiccio degli Stati, valutato tra soldi spesi e impegnati intorno ai 12–15 trilioni di dollari» (15),
ragion per cui oggi
«il finanzcapitalismo ha disvelato il suo ultimo capolavoro: rappresentare il crescente debito pubblico degli Stati non come l’effetto di lungo periodo delle sue proprie sregolatezze e dei suoi vizi strutturali, largamente sostenuti e incentivati dalla politica, bensì come l’effetto di condizioni di lavoro e di uno stato sociale eccessivamente generosi» (16).
Non è più che ragionevole ipotizzare che (almeno in Italia e in Europa) delle sinistre che non avessero ripudiato integralmente la questione della lotta di classe oggi non avrebbero alcuna difficoltà nel denunciare e nel combattere fermamente la dissennatezza e le mistificazioni di un capitalismo finanziario che, per usare alcune note ed efficacissime espressioni, sta facendo una vera e propria “lotta di classe alla rovescia”, cercando di instaurare una sorta di “socialismo per ricchi”?


E, ritornando su quanto detto in precedenza, di fronte al dilagare di una destra xenofoba che descrive i fenomeni migratori come una sorta di barbara e temibile invasione, perché la sinistra non ha il coraggio di denunciare l’assurdità di un modello economico che si fonda sulla libera circolazione delle merci e dei capitali, ma che poi vuole ostacolare (o addirittura impedire) l’altrettanto libera circolazione delle persone?

Perché la cosiddetta sinistra riformista si rifiuta di mettere seriamente in discussione il modello economico che genera il fenomeno migratorio di massa, rendendo così più difficile la creazione di un mondo aperto, accogliente e senza frontiere?

Perché le sinistre non riescono, cioè, a fare fronte comune nemmeno sull’ovvia considerazione che in un sistema economico che fosse in grado di garantire davvero il benessere diffuso di ogni area del pianeta, il fenomeno delle migrazioni di massa (e le susseguenti questioni di ordine pubblico che vi si potrebbero riconnettere), semplicemente, svanirebbe nel nulla, restando circoscritto alle eccezionali ipotesi di catastrofi naturali di immani dimensioni e rendendo, quindi, ogni individuo libero di scegliere dove vivere, senza che ciò debba più determinare alcun problema di insicurezza collettiva (reale o anche solo percepita)?
Insomma: se le sinistre europee, oggi, non hanno la capacità di far comprendere facilmente ai popoli che si propongono di guidare quanto sia stato folle appaltare (e in esclusiva) la questione dello sviluppo economico al mercato e far scorrere un intero decennio, inventandosi nuove crociate e nemici inesistenti da andare a combattere in giro per il mondo, guerreggiando fuori e innalzando mura e fossati immaginari dentro, non è anche e soprattutto perché esse stesse hanno ceduto al fascino della telepolitica dei bassi istinti e dell’immediato consenso da capitalizzare nei sondaggi d’opinione, accontentandosi di fare (quando è possibile) un po’ di amministrazione spicciola e nulla più?

L’auspicio conclusivo, allora, è che i tanti e diversi spunti di un discorso complicatissimo che qui abbiamo soltanto potuto abbozzare, ma che altri, in maniera più compiuta e autorevole, stanno già sviluppando, possano trovare presto una più ampia diffusione, diventando il cuore della rinascita delle sinistre che finalmente si riconnettono col proprio popolo. Un popolo di lavoratori, per ciò stesso maggioritario e in perenne conflitto con gli interessi del capitale, ma anche un popolo che sa benissimo che non c’è necessariamente un contrasto insanabile tra libertà e uguaglianza e che, forse, comprende altrettanto bene che la giusta sintesi va trovata nel valore rivoluzionario disperso: la fratellanza; da declinare però non più in chiave nazionale, ma planetaria (ossia: fratellanza del genere umano).

Se le sinistre riusciranno a rifondarsi su base umanista e laburista – socialdemocratica e keynesiana o socialista e neo-marxiana, a seconda di sviluppi che qui è semplicemente impossibile prevedere – forse, le cose potranno davvero cambiare negli anni a venire.

Diversamente, si rimarrà ancora a lungo schiavi della logica delle due destre, una dal volto feroce, l’altra dal volto un po’ più umano, ma entrambe piegate a difendere i medesimi interessi economici: quelli del grande capitale finanziario. L’unico elemento, tra l’altro, che sia in grado di trarre profitto da una logica di guerra permanente e da un ‘libero’ mercato generatore di infiniti conflitti e mostruose diseguaglianze. Ciò che, in ultima analisi, è accaduto nel decennio appena trascorso.


Giuseppe D'Elia


«Every nation, in every region, now has a decision to make. 
Either you are with us, or you are with the terrorists». 
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(14) http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Gallino

(15) http://www.controlacrisi.org/joomla/index.php?option=com_content&id=17453&view=article

(16) http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-civilta-del-denaro-in-crisi/