martedì 13 settembre 2011

Prodromi e sviluppi politici dell'undici settembre: da Berlino a Breivik, un viaggio nella crisi epocale delle sinistre/1


Nel decennale dell’evento simbolico del crollo delle Torri Gemelle di New York – colpite da due aerei di linea, dirottati e trasformati in arma kamikaze da alcuni fondamentalisti islamici, mentre un terzo aereo si andava a schiantare sul Pentagono e un quarto mancava l’obiettivo, precipitando in un campo, in seguito alla ribellione dei dirottati – sul piano del racconto, non c’è molto altro da aggiungere a quanto si è già, celebrativamente, letto, visto e ascoltato negli ultimi giorni.

Per dovere di cronaca, in verità, andrebbe registrato anche il dato di fatto che al racconto veicolato dai media mainstream, da diversi anni, fa da contraltare una narrazione differente (e assai più problematica) della vicenda degli attacchi aerei dei dirottatori kamikaze. Una narrazione alternativa nata e sviluppatasi principalmente in Rete e, sovente, etichettata e liquidata – forse un po’ troppo sbrigativamente – come cospirazionista, nella sua interezza. Sul punto, parafrasando Roberto Quaglia, autore de “Il Mito dell’11 Settembre e l’Opzione dottor Stranamore”, ancora una volta, va posta solo la domanda diabolica: «Internet ha davvero smascherato la madre di tutti i complotti, oppure ha generato il padre di tutti i miti?» (1), senza pretendere, in alcun modo, di dare una risposta definitiva, che – in un senso o nell’altro – saprebbe tanto di Atto di Fede.

Del resto, anche stando ai fatti come sono noti ai più, è del tutto legittimo avanzare qualche dubbio sulla correttezza dell’operato dell’amministrazione USA, sotto la presidenza di Bush jr, semplicemente per il fatto che essa ha, indiscutibilmente, scelto di usare la tragedia di dieci anni fa a fini politici, incidendo peraltro (e non poco) sui destini di mezzo mondo.
Ed è proprio questo, l’aspetto che, oggi, andrebbe maggiormente approfondito: gli effetti politici e sociali dell’evento undici settembre, in quella sorta di comunità sovranazionale che si è sentita, improvvisamente, proiettata in tempo di guerra, senza che, in realtà, vi fosse stata un’azione di guerra in senso proprio.

Non è politica, insomma, la scelta di considerare “atto di guerra” un quadruplice attentato terroristico, per quanto senz’altro di enorme portata? Non dovrebbe essere lampante, anche solo analizzando semanticamente l’espressione “War on Terror”, la valenza tutta politica delle scelte operate dieci anni fa? Che senso ha dichiarare letteralmente guerra al “terrore” (o al “terrorismo”)? Come si è giunti a credere che fosse la cosa più naturale di questo mondo reagire occupando militarmente l’Afghanistan, soltanto perché si riteneva che lì si trovassero i vertici dell’organizzazione terroristica che ha rivendicato gli attentati? Come si può giustamente denunciare l’orrore delle circa tremila vittime innocenti dell’undici settembre e, contestualmente, assecondare la scelta politica di una risposta militare che avrebbe prodotto (e ha prodotto) una crescita esponenziale delle morti e delle devastazioni?

Interrogativi di semplice buon senso, che si potevano porre già dieci anni fa.

Domande che, nella sostanza, ogni persona ragionevole dovrebbe porsi oggi, visto che, facendosi beffe dei contingenti militari NATO ancora operativi in Afghanistan, a quanto pare, Osama Bin Laden, il capo supremo della famigerata Al-Qaida, in realtà, si nascondeva in Pakistan, là dove – senza che vi fosse bisogno di una guerra decennale – sarebbe stato recentemente ammazzato (pare, nel tentativo di catturarlo), anche se nessun operatore dell’informazione ha mai visto il corpo, sepolto in mare, non si è ben capito per quale ragione (2).

l tutto mentre Bush figlio, sempre nell’ambito della sua epica “War on Terror”, nel 2003, decideva di portare a termine il lavoro lasciato a metà dal padre una dozzina d’anni prima, occupando militarmente l’Iraq, fino alla deposizione e all’esecuzione per impiccagione del suo autocrate Saddam Hussein (3). Va sottolineato che costui venne formalmente accusato di possedere (e di nascondere alla comunità internazionale) delle ormai leggendarie “armi di distruzione di massa”, sulla base di un’informativa dei servizi in seguito riconosciuta come fasulla (4). Qui, dunque, formalmente, un casus belli di una qualche consistenza c’era. Non era vero, ma almeno c’era.

Ora, è lecito presumere che in tutto questo, un ruolo fondamentale lo abbia svolto la vera e propria (almeno in Italia) militarizzazione dei grandi media, che, soprattutto nell’immediato, hanno sposato in maniera a dir poco acritica la linea bellicista. Ma poiché il caso italiano – ossia la sostanziale coincidenza della leadership della destra maggioritaria e bellicosa con la proprietà delle tre principali reti televisive e, dal 2002 (5), col controllo politico delle altre tre, quelle (formalmente) pubbliche – resta unico nel panorama internazionale, c’è qualcosa che va al di là del bombardamento mediatico, nella vasta diffusione di questo modello di pensiero tendenzialmente fascistoide. Ci sono cioè delle precondizioni politiche che, verosimilmente, devono essere in grado di spiegare questa sorta di acquiescenza generalizzata a scelte illiberali e pretestuosamente guerrafondaie, accolte con entusiasmo dalle destre di mezzo mondo e, per lo più, assecondate dalle sinistre di palazzo, con la sola notevole eccezione di un eterogeneo fronte pacifista popolare, rimasto però di fatto senza una autentica e significativa rappresentanza nei centri decisionali del potere.

Nella consapevolezza di quanto sia arduo provare a svolgere un discorso di tale complessità e vastità, nell’economia di poche righe, di seguito, si cercherà pertanto di abbozzare una sommaria ricostruzione, individuando in particolare alcuni riferimenti simbolici, che possano essere d’aiuto nel tentativo di provare a capire meglio quello che è successo politicamente alla cosiddetta civiltà occidentale a cavallo tra il secondo e il terzo millennio dell’era cristiana.

Anticipando in parte le conclusioni, si tratta di comprendere e di verificare – assumendo chiaramente come osservatorio privilegiato la situazione italiana (ed europea), cercando però di non desumerne generalizzazioni arbitrarie – fino a che punto su tutto ciò abbia (o non abbia) potuto influire la crisi epocale delle sinistre post 1989. Di quelle sinistre che hanno malaccortamente interpretato il crollo del muro di Berlino, prima, e del blocco sovietico, subito dopo, come la sconfitta di un’Idea, lasciando così un intero campo libero al prevalere incontrastato dell’individuo sulla comunità, del nazionalismo sull’internazionalismo, del capitale sul lavoro, delle oligarchie sulla democrazia e della conservazione sul progresso.

(continua)

Giuseppe D'Elia


«Every nation, in every region, now has a decision to make. 
Either you are with us, or you are with the terrorists». 
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(1) http://archivio.denaro.it/VisArticolo.aspx/VisArticolo.aspx?IdArt=574458

(2) http://www.newyorker.com/online/blogs/newsdesk/2011/05/killing-osama-was-it-legal.html

+ http://bit.ly/riwQRt

(3) http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/12_Dicembre/29/saddam_esecuzione.shtml

(4) http://www.tmnews.it/web/sezioni/news/PN_20110217_00218.shtml

(5) http://www.repubblica.it/online/politica/polemicherai/assalto/assalto.html