giovedì 22 luglio 2010

Trasfusioni: i dilemmi della rete


La vicenda narrata nel blog "senzalimiti", molto dibattuta in rete, si dovrebbe comprendere, senza grosse difficoltà, già solo leggendo queste poche righe: "non potevo credere alle mie orecchie. Fino a ieri il mio sangue andava benissimo, anzi mi chiamavano pure a casa se magari facevo passare troppo tempo tra una donazione e l'altra, è andato bene per oltre venti volte e oggi non va più bene? Vi ho dato nove litri in otto anni e adesso non posso? E perché poi? Solo perché sono gay?".
Ed è esattamente questo, ciò che è successo: un donatore abituale, ritenuto perfettamente in grado di donare, in base agli standard normativi vigenti, d'un tratto non può più farlo, perché la struttura sanitaria presso cui svolgeva l'operazione lo colloca in una "categoria a rischio". Al riguardo va ricordato innanzi tutto che la questione non è nuova. Già quattro anni fa, infatti, l'allora Ministro della Salute Livia Turco, sull'argomento, si espresse in questi termini: "nel 2001, anche sulla base delle indicazioni degli Organismi europei, nella nostra normativa è stato rimosso ogni riferimento a 'categorie a rischio' focalizzando, invece, l'attenzione sulla più ampia e variegata categoria dei 'comportamenti a rischio'. Né sono stati a tutt'oggi rilevati validi motivi per modificare detta impostazione". Ma ciò che più conta, qui, è che Gabriele, il protagonista di questa vicenda, così come ogni altro donatore, è sano o non lo è indipendentemente da quello che può risultare da un rapporto statistico. In altre parole, quando è nota la storia clinica di una persona, quando gli esami medici e di laboratorio previsti dalla legge – i cosiddetti "protocolli per l'accertamento della idoneità del donatore di sangue e di emocomponenti" – attestano lo stato di buona salute (...) 

Giuseppe D'Elia