Può un disegno di legge "in materia di obiezione di coscienza dei farmacisti nella dispensa dei farmaci rientranti nella contraccezione di emergenza" essere etichettato sotto la voce 'aborto', in una sintesi giornalistica? La domanda è circolata in Rete, a seguito della recenti dichiarazioni della relatrice, la senatrice Spadoni Urbani (PdL), sulla necessità di "tutelare coloro che non intendano collaborare con il cliente, riconoscendo loro la clausola dell'obiezione di coscienza, come è già stato fatto per i medici". Dichiarazioni riportate in articoli che, in effetti, sarebbe stato opportuno ascrivere, tutt'al più, alla categoria 'bioetica'.
Le perplessità dei blogger – "Aborto? Ma quale aborto?", chiosava sarcasticamente Metilparaben – si fondano sulla mera constatazione che i farmaci in questione, proprio in quanto contraccettivi post-coitali, vanno assunti a breve distanza dal rapporto. Per dirla in parole povere, insomma, la cosiddetta "pillola del giorno dopo" non va confusa con la RU-486, perché solo quest'ultima è senz'altro un farmaco abortivo.
Sembra, dunque, più che mai attuale l'appello che Silvio Viale lanciava, già a fine ottobre 2007, in una "nota sulla contraccezione di emergenza per i giornalisti". Un documento, questo, in cui il medico radicale esclude anche che il farmaco possa agire "bloccando l'impianto in utero dell'ovulo fecondato". Per Viale, cioè, la pillola agisce esclusivamente "impedendo la penetrazione dello spermatozoo nell'ovulo" e, anzi, poiché "l'efficacia dipende dalla distanza tra il rapporto e l'ovulazione" sarebbe preferibile che pure in Italia il rimedio fosse disponibile come "prodotto da banco". Del resto, se è vero che la "finestra fertile" dura "cinque giorni", è pur vero che (...)
Giuseppe D'Elia