Sarà la persistenza della crisi economica, sarà l'ipotesi di un possibile ricorso a elezioni anticipate, fatto sta che le ultime settimane hanno registrato frequenti episodi di contestazione politica, di cui la Rete si è occupata con discreto interesse. C'è da dire innanzitutto che i protagonisti non hanno molto in comune: Dell'Utri, Schifani e Bonanni, infatti, sono tre figure non marginali del panorama politico italiano, ma con storie piuttosto diverse. Al vecchio amico del premier i contestatori non perdonano la condanna (salvo Cassazione) per concorso esterno in associazione mafiosa e, contestualmente, l'operazione di rivalutazione postuma del fascismo che costui ha messo in atto, pubblicando dei diari del duce, valutati da più esperti come un falso storico. Per il sindacalista Bonanni l'accusa è chiaramente quella di non fare gli interessi dei lavoratori. Ma per il presidente del Senato già diventa più sfumata – vecchi rapporti professionali coi mafiosi? – la ragione di un dissenso così veemente. Al punto che non è escluso che quei fischi vadano anche al PD dialogante, in un momento in cui molti suoi elettori si aspetterebbero invece una netta spallata al governo traballante.
Sia come sia, il dibattito nel web si è incentrato in particolare su forme e limiti di queste manifestazioni di dissenso. In sostanza, ci si è interrogati su come far convivere libertà di parola ed esercizio del dissenso. Nell'impossibilità di riportare tutte le opinioni, una sintesi non dogmatica ci sembra quella di Gaetano Alessi del blog "Ad Est on line" che soprattutto si chiede quali siano "i limiti di sopportazione di un popolo nei confronti dell'arroganza del potere" e dove tracciare "la linea di demarcazione tra giusto esercizio di dialettica e sopraffazione". Anche perché di fronte a un corto circuito politico-informativo che (...)
Giuseppe D'Elia