Senza entrare nel merito del percorso politico di SEL, c’è un punto molto interessante nella
sintesi proposta da Vendola, pochi giorni fa, per le prossime Europee.
L’unità di chi critica da sinistra il socialismo europeo deve necessariamente realizzarsi contro i socialisti?
Si tratta di un fenomeno che in Italia è ancora più evidente: il
tentativo di aggregare le soggettività politiche più critiche verso il
capitalismo e gli effetti di trent’anni di sviluppo economico senza
regole (o, meglio, con una sola regola: la competizione selvaggia),
mettendo in discussione la genuinità della proposta politica della
sinistra elettoralmente maggioritaria.
Loro non sono la sinistra; la vera sinistra siamo noi; quindi votate noi e non loro, se volete il cambiamento.
Questo schema è stato usato spesso negli ultimi anni e, probabilmente, andrebbe accantonato per la sua palese inefficacia.
Inefficacia che permane anche se il noi siamo la vera sinistra
viene messo in scena da una soggettività politica che prova a
organizzarsi, prendendo le distanze dai partiti che hanno già fallito
più volte nel tentativo di realizzare questo tipo di operazione
elettorale.
Il rischio più evidente da evitare è questo: una campagna elettorale
del genere non viene fatta contro l’avversario tradizionale (le destre),
ma contro quello che in teoria (e di solito anche in pratica) dovrebbe
essere l’approdo più scontato per l’elettore di sinistra.
Mettere in campo una strategia più dialogante, invece, permetterebbe di concentrarsi sull’obiettivo comune: realizzare
un’Europa solidale in cui nessun Paese dovrà più subire un trattamento
come quello riservato alla Grecia, a causa del prevalere di logiche
nazionali su quelle della comunità tutta.
L’altro rischio da evitare è quello delle divisioni interne: fare una
campagna elettorale cooperante e inclusiva, non solo permette
all’elettore di sinistra di scegliere una delle due opzioni politiche
che (a suo insindacabile giudizio) può essere più in grado di conseguire
l’obiettivo comune, ma soprattutto permette a chi ha la pretesa di
ridare maggiore forza e peso al campo di una sinistra più radicale di
non auto-castrarsi col gioco perverso dei veti incrociati e delle
preclusioni.
Detto ancora più esplicitamente, bisogna assolutamente evitare di ripetere errori già fatti in passato e quindi:
1) stare sul programma e sulla oggettiva valenza simbolica della candidatura di Tsipras (la questione greca è un vulnus della costruzione europea che va sanato e che mai più dovrà accadere);
2) evitare gli scontri tra singole componenti partitiche e tra
partiti e società civile: il progetto comune è l’unico obiettivo da
realizzare; lo spirito referendario della primavera del 2011 dovrebbe
essere il motivo ispiratore. I tempi sono molto stretti e quindi serve
davvero la cooperazione di tutti per riuscire nell’impresa di far
confluire un consenso maggioritario (o comunque significativo) sulla
salvaguardia della casa comune europea, abbandonando finalmente i
nazionalismi e quella subalternità concettuale all’ideologia liberista
che hanno compromesso il funzionamento e la buona riuscita del processo
di integrazione.
E allora se tutti possiamo agevolmente concordare con
Barbara Spinelli, quando afferma che
«(…) non dovrebbe essere una coalizione dei vecchi partiti della
sinistra radicale, perché non avrebbe alcuna possibilità di successo.
Abbiamo bisogno di qualcosa di più grande, qualcosa per scuotere la
coscienza della società, superando i margini molto stretti delle
formazioni politiche della sinistra radicale. Con l’obiettivo di unire
le forze della società colpite dalla crisi».
dobbiamo anche tenere bene a mente che per quanto ognuno dei partiti
italiani che hanno operato e ancora operano a sinistra del PD sia stato
insufficiente, inadeguato e strategicamente e tatticamente tutt’altro
che lungimirante, ciascuna di queste forze politiche (e penso in
particolare ai tre principali partiti in cui oggi risulta scisso il
nucleo originario del Partito della Rifondazione comunista) può dare un
contributo preziosissimo alla riuscita dell’impresa. E non mi riferisco,
ovviamente, alla candidatura dei soliti noti, ma alla possibilità di
mettere in comune un patrimonio di militanza e di consenso che è ancora
consistente, una volta riunito.
Si deve andare oltre la cosiddetta sinistra radicale, certo! Ma
partendo da quella base e lavorando tutti assieme per allargare il
consenso in un progetto che non deve avere preclusioni nei confronti di
nessuno. Stiamo parlando comunque di oltre
3 milioni di elettori ai tempi dell’Unione di Prodi;
2 milioni alle ultime europee (senza eleggere rappresentanti per la scelta suicida di andare divisi) e un
risultato leggermente inferiore
alle ultime politiche. La contrapposizione tra società civile e partiti
che spesso emerge anche a sinistra, oltre a essere controproducente, è
nei fatti del tutto irragionevole: non sono forse società civile anche
le decine di migliaia di compagni iscritti (e non) ai suddetti partiti?
Non sono spesso le stesse identiche persone a militare
contemporaneamente in uno dei residuali partiti comunisti e in una o più
associazioni di volontariato e promozione sociale?
D’altra parte è stato proprio
Tsipras a indicare che è questa
la strada giusta:
«La prima condizione è che questa lista si costituisca dal basso, con
l’iniziativa dei movimenti, degli intellettuali, della società civile.
La seconda condizione è di non escludere nessuno. Si
deve chiamare a parteciparvi e a sostenerla prima di tutto i semplici
cittadini, ma anche tutte le associazioni e le forze organizzate che lo
vogliono.
La terza condizione è di avere come speciale e unico scopo quello di
rafforzare i nostri sforzi in queste elezioni europee per cambiare gli
equilibri in Europa a favore delle forze del lavoro contro le forze del
capitale e dei mercati. Di difendere l’Europa dei popoli, di mettere
freno all’austerità che distrugge la coesione sociale. Di rivendicare di
nuovo la democrazia.
L’esperienza di Syriza in Grecia ci ha insegnato che in tempi di
crisi e di catastrofe sociale, come oggi, è di sinistra, radicale,
progressista ogni cosa che unisce e non divide.
Solo se facciamo tutti insieme un passo indietro, per fare
tutti insieme molti passi in avanti, potremmo cambiare la vita degli
uomini.
In un quadro del genere anche il mio contributo potrà essere utile a
tutti noi, ma prima di tutto ai popoli d’Italia e d’Europa».
"Con Tsipras, per incontrare Schulz" (e i socialisti tutti), dunque.
Con la prospettiva di usare il consenso ottenuto per far capire al PSE
che bisogna fare molto di più di quello che si è fatto fino qui, se
davvero si vuole costruire un’Europa accogliente e socialdemocratica.
Un progetto che non è impossibile.
A patto che si riesca finalmente a unire la sinistra, su posizioni di sinistra.
Giuseppe D'Elia